Maniere e sincerità
L’obiettivo principale dell’aspra critica sociale di Wilde è l’ipocrisia che la società stessa crea. Spesso i membri della società vittoriana si comportavano in modo eccessivamente sincero e educato quando nascondevano in realtà un atteggiamento manipolatore e crudele. Wilde espone questo divario in scene come quella in cui Gwendolen e Cecily si comportano bene davanti ai servitori o quando Lady Bracknell si ammorbidisce nei confronti di Cecily dopo aver scoperto che è ricca. Tuttavia, l’opera gira effettivamente intorno alla parola “Ernest”, la cui pronuncia è la stessa della parola “earnest”, cioè “onesto”. Entrambe le donne vogliono sposare una persona di nome “Ernest” perché ispira loro assoluta fiducia. In altre parole, il nome implica che colui che lo porta sia davvero onesto e responsabile. Tuttavia, Jack e Algernon hanno mentito riguardo i loro appellativi, quindi non sono né “Ernest”, né “earnest”, cioè onesti. Ma si scopre anche che almeno nel caso di Jack, ha inavvertitamente detto la verità. Il rapido susseguirsi di verità e menzogna, di onestà e disonestà, mostra quanto fossero confusi i valori vittoriani di onestà e responsabilità.
Doppie identità
Nella sottocategoria del tema della sincerità (si veda sopra), Wilde esplora in modo approfondito il significato di avere un’identità doppia nel contesto della società vittoriana. Questa dualità risulta particolarmente evidente nel “bunbureggiare” di Algernon e Jack, cioè nella creazione di un alter ego che possa consentire loro di evitare le responsabilità. Wilde suggerisce che il “bunburismo” possa coprire relazioni omosessuali o che almeno possa servire da via di fuga a matrimoni opprimenti. Anche altri personaggi creano identità alternative: per esempio, Cecily scrive una corrispondenza tra lei ed Ernest prima ancora di incontrarlo. A differenza degli uomini veri, che sono liberi di andare e venire come meglio credono, lei è capace di controllare questa versione di Ernest. Infine, il fatto che Jack stia involontariamente conducendo una vita con una doppia identità, dimostra che i nostri alter ego in realtà non sono molto distanti dalle nostre vere identità, a differenza di quanto potremmo pensare.
Critica del matrimonio come strumento sociale
La critica più evidente mossa da Wilde nell’opera è quella dei desideri manipolativi nel contesto matrimoniale. Gwendolen e Cecily sono interessate ai rispettivi compagni, sembrerebbe, soltanto perché hanno un vissuto disdicevole: per esempio, Gwendolen è felice di sapere che Jack era un orfano e Cecily è eccitata dalla reputazione “cattiva” di Algernon. Entrambe condividono il desiderio di sposare una persona di nome Ernest e questo dimostra che i loro sogni romantici dipendono dai titoli e non dal carattere. Ma gli uomini non sono meno superficiali: Algernon chiede la mano della giovane e bella Cecily solo pochi attimi dopo averla incontrata. Soltanto Jack sembra avere desideri romantici onesti, sebbene sia opinabile il motivo per cui possa amare l’egocentrica Gwendolen. Tuttavia, lo squallore dei secondi fini degli innamorati viene sovrastato dalle priorità di Lady Bracknell, che incarna la tendenza vittoriana a vedere il matrimonio come un accordo finanziario: non consente a Gwendolen di sposare Jack perché è un orfano e ignora Cecily finché non scopre che è in possesso di una grossa dote.
Indolenza della classe agiata e dell'esteta
Indolenza della classe agiata e dell’estetaWilde espone bonariamente le vite vuote e superficiali dell’aristocrazia perché anche lui stesso ha condotto questo stile di vita. Algernon è un edonista a cui interessa soltanto mangiare, fare scommesse e spettegolare senza conseguenze. Wilde spiegò che si trattava di un’opera in cui i personaggi banalizzano le questioni serie e solennizzano quelle banali: infatti, Algernon sembra più preoccupato per l’assenza delle tartine al cetriolo (che ha mangiato) che per i gravi conflitti di classe che cerca di appianare velocemente con alcune battute. Ma Wilde ha un intento molto più serio: aderisce alla filosofia dell’estetismo del tardo Ottocento, teorizzata da Walter Pater, secondo cui è necessario che l’arte sia strettamente collegata alla bellezza e non alla realtà. L’arte quindi non deve rispecchiare la realtà, anzi, come ha detto Wilde, dovrebbe essere “inutile” (nel senso che non deve avere uno scopo sociale, ma essere utile solo al fine di permetterci di apprezzare la bellezza). Di conseguenza, l’indolenza di Algernon non è pura e semplice pigrizia, ma è il prodotto di qualcuno che ha coltivato un apprezzato senso dell’inutilità estetica.
Farsa
Gli epigrammi sono senza dubbio l’elemento più famoso della letteratura di Oscar Wilde: si tratta di massime brevi e argute che spesso mettono in luce le assurdità della società sfruttando il paradosso. Normalmente l’autore sceglie un cliché radicato e lo altera per rendere in qualche modo più logica la sua illogicità, per esempio: “nella vita matrimoniale, tre è compagnia, due no”. Sebbene queste battute taglienti servano a fare una critica sofisticata della società, Wilde impiega anche altri strumenti comici di “basso” livello, come la farsa. Riecheggia dialoghi e azioni, sfrutta rovesciamenti comici e lancia un finale rapido e assurdo, di cui tendiamo a ignorare l’alto livello di irrealtà per quanto è ridicolo. Questo tono di spirito e farsa è tipico di Wilde e soltanto una persona veramente abile in entrambi i generi riuscirebbe a combinarli con così tanto successo.