Don Chisciotte della Mancia (parte 1)

Don Chisciotte della Mancia (parte 1) Riassunto e analisi di di Don Chisciotte della Mancia (parte 1) - Capitoli 12 - 14

Riassunto

Capitolo 12: Di ciò che un capraio raccontò a quelli che erano con don Chisciotte

Arriva, nel luogo dove sono riuniti don Chisciotte e i caprai, un uomo di nome Pietro, che porta provviste dal villaggio. Egli riferisce che il famoso studente Grisostomo è morto quella mattina, a causa del suo amore per la pastorella Marcella, e ha chiesto di essere sepolto ai piedi della rupe dove ha visto per la prima volta la donna. Aggiunge che la sepoltura, che si terrà il giorno seguente, sarà degna di essere vista, ed i caprai decidono di andarci tutti, tranne uno di loro, che rimarrà a badare alle capre. Don Chisciotte chiede a Pietro di Grisostomo e questi gli racconta che era un ricco nobile, che aveva studiato per molti anni a Salamanca, che sapeva molto sulla “scienza delle stelle” e che aveva spiegato loro l’“eccrisso” del sole e della luna. Don Chisciotte lo corregge, dicendogli che questo fenomeno si chiama "eclissi". Poi, Pietro spiega che Grisostomo stava predicendo se l’anno del raccolto sarebbe stato un anno di abbondanza o “stèrlile”, e don Chisciotte gli dice che la parola corretta è “sterile”. Ma a Pietro non interessa la differenza tra un termine e l’altro e non sa che la scienza studiata da Grisostomo è l’astronomia, come gli fa notare don Chisciotte.

Pietro aggiunge che Grisostomo sapeva comporre poesie, che aveva ereditato una grande fortuna e che aveva improvvisamente cambiato il suo ruolo di studente con quello di pastore, come il suo amico Ambrosio. Il cambiamento era dovuto al fatto che era innamorato della pastorella Marcella. A quel punto Pietro dice a don Chisciotte che non ascolterà una simile storia nemmeno se vivrà più a lungo di “Sarna”* e il nobile lo corregge dicendo “Sara”. Il pastore gli chiede di non correggerlo più, e don Chisciotte si scusa amichevolmente e gli dà ragione, “giacché ha più anni la sarna”. Poi Pietro racconta la storia di Marcella, figlia di un ricco contadino e famosa per la sua bellezza, che era stata cresciuta da uno zio sacerdote, dopo la morte della madre. Molti uomini avevano chiesto la sua mano allo zio, ma lui voleva che fosse lei a decidere, e lei a ogni offerta rifiutava, giustificandosi e dicendo che si sentiva giovane e che col tempo avrebbe saputo scegliere un compagno di suo gradimento. Un giorno aveva deciso di diventare pastorella e andare a lavorare nei campi, nonostante la gente del villaggio glielo avesse sconsigliato. Allora, molti giovani ricchi, nobili e contadini, fingendosi pastori, avevano cercato di conquistarla senza successo. Tra questi c’era Grisostomo. Gli uomini disillusi e disperati hanno cominciato a chiamarla “crudele” e “disgraziata”. C’è un bosco di faggi dove molti uomini hanno scritto il nome di lei. Alla fine, Pietro consiglia a don Chisciotte di andare al funerale di Grisostomo il giorno dopo. Don Chisciotte lo ringrazia per il suo resoconto degli eventi e si mette a dormire pensando a Dulcinea.

Capitolo 13: Dove si termina il racconto della pastora Marcella e si narrano altri avvenimenti

All’alba, cinque dei sei caprai si alzano e svegliano don Chisciotte, invitandolo ad andare con loro al funerale di Grisostomo. Don Chisciotte si incammina insieme al suo amico Sancio. Poco dopo, incontrano sulla strada sei pastori, che indossano sul capo corone di cipressi e oleandri, e due gentiluomini. Quando vengono a sapere che anche loro sono diretti al funerale, decidono di viaggiare insieme. Vivaldo, uno degli uomini a cavallo, chiede a don Chisciotte perché sia armato, e quest’ultimo risponde che è un cavaliere errante. Tutti notano la follia del cavaliere e Vivaldo chiede a don Chisciotte informazioni sulla cavalleria errante.

Don Chisciotte spiega che le origini della cavalleria risalgono ai tempi di Re Artù, dove nacque l’Ordine dei Cavalieri della Tavola Rotonda, e cita anche le vicende amorose di Lancillotto del Lago con la regina Ginevra. Da allora, l’ordine si è diffuso in varie parti del mondo e Amadigi di Gaula e Benengeli di Grecia, tra gli altri, sono diventati famosi. Don Chisciotte conclude dicendo che esercita questa professione per offrire il suo aiuto ai deboli e ai bisognosi.

Vivaldo, pur rendendosi conto della follia del nobile, continua a fornirgli argomenti di conversazione. Don Chisciotte confronta l’esercizio dei soldati con quello dei religiosi, dicendo che i primi eseguono la pace in terra che gli altri chiedono in cielo. Vivaldo concorda con la sua opinione. Poi domanda all’hidalgo perché ogni volta che i cavalieri mettono in pericolo la loro vita si raccomandano alla dama invece che a Dio, come fanno tutti i cristiani. Don Chisciotte spiega che questo è ciò che impongono le regole della cavalleria, e aggiunge che non esiste cavaliere errante che non ami una dama, perché questo lo rende un cavaliere legittimo. Vivaldo obietta che il cavaliere don Galaor non aveva una dama a cui affidarsi, al che don Chisciotte risponde che un’eccezione non cambia la regola e che, inoltre, questo cavaliere aveva un amore segreto. Infine, Vivaldo gli chiede quale sia la dama amata da don Chisciotte e lui risponde esaltando la bellezza di Dulcinea, alla quale attribuisce il titolo di principessa. Sancio è l’unico a credere alle parole del nobile, poiché lo conosce fin dall’infanzia, e diffida solo dell’esistenza di Dulcinea, di cui non ha mai sentito il nome.

Poi vedono arrivare sul luogo della sepoltura venti pastori, vestiti a lutto, che iniziano a scavare la fossa. Don Chisciotte e i suoi accompagnatori arrivano sul posto e si salutano cortesemente. Ambrosio, amico di Grisostomo, conferma che quello era il luogo in cui l’amico voleva essere sepolto, perché lì aveva dichiarato il suo amore a Marcella e lì era stato respinto. Poi pronuncia un elogio funebre e dice che brucerà gli scritti che l’amico aveva dedicato a Marcella, come gli aveva chiesto di fare lui. Vivaldo si oppone, aggiungendo che attraverso quegli scritti la crudeltà di Marcella sarà ricordata, affinché altri possano evitare simili delusioni, e gli chiede di conservarne alcuni. Ambrogio acconsente e Vivaldo legge il titolo di uno di essi: “Canzone disperata”, allora Ambrogio afferma che è l’ultimo scritto di Grisostomo e gli chiede di leggerlo ad alta voce a tutti i presenti.

Capitolo 14: Dove si riferiscono i versi disperati del morto pastore insieme con altri inaspettati avvenimenti

Il capitolo inizia con la canzone di Grisostomo, nella quale esprime il dolore della delusione d’amore, e sostiene di preferire la morte al disprezzo della donna amata o alla gelosia. Terminata la lettura Vivaldo afferma che il contenuto della canzone non è in linea con la buona reputazione di Marcella, e Ambrosio ritiene che i timori in cui è caduto l’amico non possano screditare la reputazione di Marcella. Vivaldo sta per leggere un altro degli scritti quando appare Marcella e tutti restano sorpresi. Ambrogio le chiede il motivo della sua presenza, definendola spietata e crudele e chiamandola “basilisco”. Marcella tiene poi un discorso per dimostrare ai presenti perché si sbagliano quando la incolpano dei dolori e della morte di Grisostomo. Sa di essere bella e sostiene che tutto ciò che è bello tende ad essere amato, ma aggiunge che l’amato non è obbligato ad amare chi lo ama, anche se è bello anche lui. Dice di essere nata libera e che per vivere libera sceglie la solitudine dei campi. D’altra parte, sostiene che se il desiderio si nutre di speranza, poiché lei non ha dato alcuna speranza a Grisostomo, questi è morto per la sua ostinazione e non per la sua crudeltà. Ribadisce poi che la sua volontà è quella di vivere in solitudine e chi vuole chiamarla “basilisco” o “crudele” non la segua, non la cerchi e non la serva, perché nemmeno lei lo farà. Aggiunge anche che Grisostomo è stato ucciso dalla sua impazienza e, perciò, lei non deve essere incolpata della sua onestà. Infine, afferma di essere nata ricca e libera e di non voler essere sottomessa a nessuno e di preferire intrattenersi con conversazioni oneste con altre pastorelle e con la cura delle sue capre.

Alla fine del suo discorso Marcella se ne va, senza aspettare risposta, e si dirige verso un bosco. Tutti ammirano la sua bellezza e la sua discrezione e alcuni vogliono seguirla, ma don Chisciotte si oppone. Dice loro che ha dimostrato in modo soddisfacente la sua innocenza per la morte di Grisostomo e che ha chiarito il suo desiderio di vivere in solitudine. I pastori bruciano le carte di Grisostomo, terminano la sepoltura e depongono il corpo. Ambrogio dice che metterà un epitaffio e l’iscrizione che vi apporrà insiste sull’idea che il suo amico è morto per mano di una donna “ingrata”. Tutti fanno le loro condoglianze ad Ambrosio e si congedano. Alcuni viaggiatori invitano don Chisciotte ad andare a Siviglia con loro, dicendo che lì troverà molte avventure, ma il nobile rifiuta, aggiungendo che ha ancora molto da fare in quella terra piena di “ladroni malandrini”. Dopo essersi separato dai pastori, don Chisciotte decide di andare alla ricerca di Marcella.

Analisi

In questi tre capitoli viene narrato l’episodio pastorale di Grisostomo e Marcella. La narrazione inizia in media res, cioè nel bel mezzo della storia, perché nella prima parte c’è la morte di Grisostomo e poi viene presentata la storia del suo amore non corrisposto per Marcella. Il narratore della prima parte della storia è Pietro, un uomo che porta provviste dal villaggio in campagna, mentre il racconto degli eventi contemporanei, successivi alla sepoltura di Grisostomo (Capitoli 13 e 14), è narrato da un narratore onnisciente.

Nella prima parte del racconto, don Chisciotte corregge per due volte Pietro perché sbaglia a pronunciare le parole “eclissi” e “sterile”. Ciò rende evidente ancora una volta la differenza di linguaggio dei personaggi del romanzo. Inoltre, Pietro dice: “non avrete sentito una cosa simile in tutto il corso della vostra vita, per quanto viviate più anni della Sarna”, confondendo la malattia “scabbia” con il nome della moglie di Abramo, Sara, che si narra sia vissuta centoventisette anni.

Questo episodio mostra i diversi punti di vista che i personaggi hanno sulle qualità e sul comportamento di Marcella. Il racconto di Pietro ne esalta la bellezza e l’onestà, invece Ambrosio, l’amico di Grisostomo, la dipinge come la crudele colpevole della morte del suo amico e la chiama “basilisco”, un animale delle favole, che si diceva fosse in grado di uccidere con gli occhi. Ci viene presentato anche il punto di vista di Grisostomo, attraverso la Canzone disperata, in cui incolpa Marcella della sua delusione d’amore e della gelosia che prova, e infine, il punto di vista di Marcella, che lo espone in sua difesa.

Il discorso di Marcella è molto eloquente sulla sua innocenza poiché dimostra, punto per punto, perché non era obbligata a ricambiare l’amore di Grisostomo, e difende anche la sua libertà e la sua decisione di non sposarsi. Questo personaggio si distingue per le sue convinzioni e perché prende in mano il suo destino, nonostante le opinioni degli altri. Nel dodicesimo capitolo, Pietro racconta come decise di andare a lavorare nei campi “senza che suo zio e tutti quanti del paese, che glielo sconsigliavano”. Inoltre, rifiuta di sposarsi, nonostante tutti i pretendenti che ha. Poi, nel suo discorso, dice che vuole vivere da sola e che, se vorranno giudicarla per questo, lei li ignorerà: “Chi mi chiama belva e mostro, mi lasci stare come cosa dannosa e trista; chi mi dice ingrata non mi usi servigi; chi mi chiama intrattabile, non voglia conoscermi; chi crudele, non mi segua; poiché questa belva, questo mostro, quest'ingrata, questa crudele, questa intrattabile, non li cercherà, non li servirà, non li vorrà conoscere né li vorrà seguire in nessun modo”.

Nel tredicesimo capitolo, don Chisciotte spiega le origini della cavalleria, risalendo alla Britannia ai tempi di Re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda, dove era stato istituito l’ordine cavalleresco. Cita anche Lancillotto del Lago e la regina Ginevra.

Una delle fonti di ispirazione del romanzo cavalleresco è considerata la letteratura di Chrétien de Troyes (1130 - 1180), che utilizzò questi personaggi leggendari per raccontare le sue avventure, per esempio in Lancillotto o il cavaliere della carretta (1190). Amadigi di Gaula (1508), il libro che don Chisciotte indica come padre di tutti i romanzi cavallereschi, è l’opera più rappresentativa di questo genere. Il suo protagonista, inoltre, è un esponente dell’amor cortese, un modo di concepire l’amore emerso nell’XI secolo. Seguendo questa filosofia, i cavalieri dedicavano ogni vittoria alle loro dame e si affidavano a loro in ogni situazione di pericolo. Quest’ultimo aspetto è messo in discussione da Vivaldo:

Però una cosa, fra molt'altre, mi pare assai brutta dei cavalieri erranti, ed è che quando si vedono nell'occasione di affrontare una grande e pericolosa avventura, in cui è evidente il pericolo di perdere la vita, mai, nel momento di affrontarla, si ricordano di raccomandarsi a Dio, come ogni cristiano ha obbligo di fare in simili frangenti, ma invece si raccomandano alle loro dame con tanta voglia e devozione come se esse fossero il Dio loro.

Tuttavia, questa pratica è come una regola per i cavalieri erranti, come gli spiega don Chisciotte. Inoltre, il cavaliere insiste sulla necessità essenziale per un cavaliere di amare una dama:

“[…] non può darsi che ci sia cavaliere errante senza dama, perché a costoro è altrettanto proprio e naturale essere innamorati quanto per il cielo l'essere stellato; e ben è certo che non si è veduta ancora storia alcuna cui si trovi cavaliero errante senz'oggetto dei suoi amori; e se anche ve ne fosse uno, non sarebbe ritenuto per legittimo cavaliere ma per bastardo, per uno che entrò nella cittadella della detta cavalleria, non per la porta, ma scavalcando il recinto, a guisa di assaltatore e ladrone.”

Un’altra delle caratteristiche dell’amore cortese è l’esaltazione della dama amata dal cavaliere. Don Chisciotte pronuncia un lungo elenco di attributi per dare conto della bellezza di Dulcinea:

“[…] la sua bellezza è sovrumana, poiché in lei vengono a verificarsi tutti gli impossibili e chimerici attributi della bellezza che i poeti danno alle loro dame, essendo oro i suoi capelli, campi elisi la sua fronte, le sue ciglia archi celesti, soli gli occhi suoi, rose le sue guancie, corallile labbra, perle i denti, alabastro il suo collo, marmo il petto, avorio le sue mani, neve la sua bianchezza […].”

La bellezza di Dulcinea, descritta da don Chisciotte, corrisponde al cliché della Donna Angelica, che rappresentava un prototipo di bellezza femminile diffuso nel Rinascimento: lunghi capelli biondi, pelle bianca, guance rosee, occhi grandi e chiari. L’enumerazione dei suoi attributi corrisponde anche al tema Descriptio Puellae, che consiste nell’elencare, generalmente in ordine decrescente, le caratteristiche di una fanciulla dai tratti fortemente idealizzati.

Inoltre, don Chisciotte dice di servire Dulcinea e la chiama “mia signora”. Questo è un altro elemento tipico della concezione dell’amore cortese. L’amante instaura con la donna amata un rapporto immaginario simile a quello di un vassallo con il suo signore feudale. L’amante serve la sua signora e la tratta come “padrona”, come vediamo in questo esempio.

* Nel dialogo, il termine sarna si riferisce alla rogna, mentre il nome Sara alla biblica e secolare moglie di Abramo [N.d.T.]