Riassunto
Il marlin tenta disperatamente di allontanarsi. Santiago, incapace di parlare perché ormai ha la bocca troppo secca, pensa: “Mi stai uccidendo, pesce, […]. Ma ne hai il diritto. Non ho mai visto una cosa più grande, più bella, più calma o più nobile di te, fratello. Avanti, uccidimi. Non m’importa chi dei due uccide l’altro”. Il marlin continua a girare, ad avvicinarsi e allontanarsi. Alla fine, affianca la barca e Santiago affonda l’arpione nel fianco del marlin.
“Allora il pesce si ravvivò , con la morte dentro di sé, e si levò alto sull’acqua mostrando tutta la sua grande lunghezza e larghezza e tutta la sua potenza e la sua bellezza”. Ricade in mare, accecando di spruzzi Santiago. Con quel barlume di vista che ha, Santiago vede l’animale ucciso girato sul dorso, con il sangue che tinge di rosso scuro l’azzurro del mare. Di fronte al suo premio, Santiago esclama: “Sono un vecchio stanco. Ma ho ucciso questo pesce che è mio fratello e ora devo sgobbare come uno schiavo”.
Dopo aver ucciso il marlin, Santiago lo affianca alla barca. Il pesce è troppo pesante per essere caricato a bordo, quindi il vecchio deve rimorchiarlo fino alla terraferma fissandolo alla fiancata. Fa passare una cima attraverso le branchie e la bocca e posiziona la testa accanto alla prua. “Voglio vederlo, pensò, e toccarlo e tastarlo. È la mia fortuna, pensò”. Dopo aver assicurato il marlin alla barca, Santiago issa la vela e lascia che il vento lo spinga verso sud-ovest.
Un’ora dopo l’uccisione del marlin, compare uno squalo mako. Aveva seguito la scia di sangue che il pesce ammazzato aveva lasciato dietro di sé. Non appena lo squalo si avvicina alla barca, Santiago prepara l’arpione, sperando di uccidere l’animale prima che riesca a sbranare il marlin. “La testa dello squalo era fuori dall’acqua e il dorso stava venendo fuori e il vecchio sentì il rumore della pelle e della carne del grande pesce che si laceravano quando conficcò l’arpione nella testa dello squalo”. Lo squalo morto affonda nelle profondità dell’oceano, piano piano.
Lo squalo si era portato via quasi venti chili di carne del marlin e aveva mutilato il suo fianco perfetto. A Santiago non piace più guardare il pesce: “Nel momento in cui era stato attaccato si era sentito attaccato anche lui”. Inizia a pentirsi di aver catturato il marlin, desiderando che la sua avventura fosse stata solo un sogno. Tuttavia, nonostante le sfide che lo attendono, Santiago conclude che “l’uomo non è fatto per la sconfitta […]. Un uomo si può distruggere ma non sconfiggere”.
Presto Santiago si chiede se uccidere il pesce sia stato un peccato. Prima dice che ha ucciso il marlin per nutrire sé stesso e le altre persone; e che se questo è peccato allora ogni cosa è peccato. Ma non aveva ucciso il marlin solo per mantenersi in vita: “Lo hai ucciso per orgoglio e perché sei un pescatore. Gli volevi bene quando era vivo e gli hai voluto bene dopo. Se gli vuoi bene, ucciderlo non è peccato. O lo è di più?”. Presto Santiago abbandona questi ragionamenti per concentrarsi sul rientro verso la terraferma.
Il vecchio mangia un po’ di polpa del pesce là dove lo squalo aveva lacerato la carne. Nota che è deliziosa, di buona qualità, ma sa anche che altri squali ne avrebbero fiutato l’odore nell’acqua. Due ore dopo, due squali dal muso a spatola raggiungono la barca. Dopo aver perso l’arpione con il primo squalo mako, Santiago fissa il suo coltello all’estremità di un remo e lo brandisce contro gli squali. Uccide facilmente il primo, conficcandogli il coltello negli occhi.
Analisi
Il confronto finale di Santiago con il pesce, dopo il risveglio del vecchio, sviluppa ulteriormente l’uguaglianza di Santiago con l’animale e la concezione operativa di virilità che il vecchio si sforza di sostenere. Continuare a tirare verso di sé il pesce che gira sfinisce Santiago, che esasperato afferma: “Mi stai uccidendo, pesce, […]. Ma ne hai il diritto. Non ho mai visto una cosa più grande, più bella, più calma o più nobile di te, fratello. Avanti, uccidimi. Non m’importa chi dei due uccide l’altro”. Come in precedenza, il marlin è il modello di nobiltà per Santiago. Questo, come gran parte del rapporto del vecchio con il pesce, sembra ricordare un codice d’onore in cui morire per mano di un nobile avversario è una fine nobile tanto quanto sconfiggerlo.
L’ossessione di Santiago per la valorizzazione del proprio avversario sembra essere ben lontana dall’idea comune che si debba sottostimare o disumanizzare ciò che si uccide. Considerare la vittima come un proprio pari dovrebbe portare ad assimilare la sua uccisione al peccato, rendendo sé stessi suscettibili di morte: la regola aurea, se non si vuole morire (e chi lo vuole?), è non uccidere gli altri. Santiago si sottrae a questo ragionamento, pur accettando le conseguenze della sua logica di uguaglianza. Anziché cercare di umiliare il suo oggetto, lo eleva, accettando con esso la proposizione comparativa che la propria morte è un degno esito della lotta quanto lo è la morte del suo avversario. È degno di uccidere l’avversario solo se è degno di essere ucciso da lui: due facce della stessa medaglia.
Hemingway enfatizza la distruzione personale di Santiago ribadendo la sua connessione con il marlin che ha catturato. Poco dopo aver assicurato il pesce alla barca e aver issato la vela, il vecchio è in preda a una specie di delirio e si domanda se è lui che sta rimorchiando il marlin o viceversa. Il suo discorso è rivelatore: “E anche se il pesce fosse nella barca, senza più un briciolo di dignità, non ci sarebbero dubbi. Invece navigavano insieme legati fianco a fianco”. Perfino nella morte, quindi, il pesce non ha perso la propria dignità. Questa identificazione viene evidenziata dopo l’attacco del primo squalo, quando Hemingway ci racconta che “adesso che il pesce era mutilato non gli piaceva più guardarlo. Nel momento in cui era stato attaccato si era sentito attaccato anche lui”.
Gli squali sono ampiamente interpretati come rappresentazioni dei critici letterari, che lacerano la preda (il libro) di Santiago (di Hemingway). Possono anche essere letti come rappresentazioni dell’aspetto negativo e distruttivo del mare e, più in generale, dell’esistenza umana. Come già visto, il tema dell’unità è molto importante nel romanzo, ma questa unità non abbraccia solo aspetti piacevoli e innocui dell’intero. Mentre Santiago lotta contro gli squali, questi animali non sono creature del mare inferiori ai socievoli delfini che Santiago ha precedentemente incontrato nella sua spedizione. Ciò emerge con più forza nelle descrizioni del mako, il primo squalo nel quale si imbatte Santiago: “Era un grandissimo squalo mako fatto per nuotare veloce come il pesce più veloce del mare e tutto in lui era bello tranne le mascelle. Aveva il dorso azzurro come quello di un pescespada e il ventre argenteo e la pelle liscia e splendida”. In effetti, “era fatto come un pescespada a parte le enormi mascelle”. Il mako non è un animale disgustoso o rozzo, ma è a suo modo nobile, un marlin predatore. Riflettendo sulla propria vittoria sul mako, Santiago dice che lo squalo è “crudele e abile e forte e intelligente. Ma io sono stato più intelligente di lui. Forse no, pensò. Forse ero solo meglio armato”.
Il discorso di Santiago sul peccato è molto importante in un romanzo incentrato sulla resistenza dell’uomo contro il destino. Il vecchio si domanda se è stato un peccato uccidere il marlin: “Penso di sì, anche se l’ho fatto per mantenermi in vita e nutrire molte persone. Ma allora ogni cosa è peccato”. Santiago cerca di placare questo dubbio ricordandosi che lui era “nato per essere un pescatore come il pesce era nato per essere un pesce”. In base a questo ragionamento, Santiago è destinato a peccare e, presumibilmente, a soffrire per questo. Ciò sembra riflettere la convinzione di Hemingway secondo la quale l’esistenza umana è caratterizzata da una costante sofferenza, non per via di qualche trasgressione evitabile, ma perché è così e basta.
Continuando il suo ragionamento, Santiago arriva alla conclusione che non ha ucciso il marlin solo per mantenersi in vita. Parlando fra sé, dice: “Lo hai ucciso per orgoglio e perché sei un pescatore. Gli volevi bene quando era vivo e gli hai voluto bene dopo. Se gli vuoi bene, ucciderlo non è peccato. O lo è di più?”. In aggiunta al senso di colpa per avere ucciso il marlin, Santiago poi ricorda il piacere provato nell’uccidere il mako. Come osservato sopra, il mako non è una creatura incondizionatamente malvagia. Infatti, Santiago dice a sé stesso: “Lui vive di pesci vivi come te. Non mangia cadaveri e non è un semplice appetito ambulante come certi squali. È bello e nobile e non ha paura di niente”. Allora perché gli è piaciuto uccidere lo squalo e non il marlin? Santiago offre due brevi risposte, sebbene nessuna delle due soddisfi veramente la domanda: “L’ho ucciso per legittima difesa […]. E l’ho ucciso bene”. La seconda risposta sembra più significativa, ma vorrebbe dire che uccidere il marlin non è stato un peccato dal momento che l’ha pure ucciso bene. Ciò suggerisce che il peccato di Santiago, sempre che esista, debba essere interpretato diversamente.