Riassunto
Mentre uccide con facilità il primo squalo, Santiago non è così fortunato con il secondo, che scuote la barca mentre divora il marlin da sotto la superficie dell’acqua. Santiago si scusa con il marlin per le mutilazioni subite a causa degli squali. Ammette: “Non dovevo uscire così al largo, pesce […]. Né per te né per me. Mi dispiace, pesce”. Stanco e scoraggiato, Santiago si siede e attende il prossimo aggressore, un galano isolato. Il vecchio riesce a ucciderlo, ma durante la lotta la lama del coltello si spezza.
Al calar del sole arrivano altri squali, e Santiago ha solo una mazza per scacciarli. Non li uccide, ma li ferisce abbastanza da impedirne il ritorno. A questo punto, Santiago non vede l’ora che si faccia buio per poter vedere le luci dell’Avana, che lo guideranno di nuovo verso la terraferma. Rimpiange di non aver tagliato il rostro del marlin per utilizzarlo come arma quando aveva il coltello, e si scusa di nuovo con il pesce. Verso le dieci di sera vede le luci dell’Avana e fa rotta verso quel chiarore.
Durante la notte tornano gli squali. “Ma prima di mezzanotte combatté e questa volta sapeva che combattere era inutile. Arrivarono in branco e lui vedeva solo le linee tracciate dalle pinne nell’acqua e la loro fosforescenza mentre si buttavano sul pesce”. Il vecchio bastona disperatamente quello che può solo percepire e udire, ma ben presto la mazza gli viene portata via da uno squalo. Santiago afferra la barra e attacca gli squali finché la barra si spezza. “Fu l’ultimo squalo del branco ad avvicinarsi. Ormai non c’era più niente da mangiare”.
Santiago “ora navigava leggero e non aveva pensieri né sensazioni di nessun genere”. Si concentra unicamente sul fare rotta verso casa e ignora gli squali che vengono a masticare la carcassa del marlin. Sente il sapore di sangue in bocca e sputa in acqua, maledicendo gli squali. Quando giunge al porto, sono tutti a letto.
Santiago scende dalla barca e riporta l’albero alla capanna. “Riprese a salire e in cima cadde e giacque a terra per un po’ con l’albero sulla spalla. Tentò di alzarsi. Ma era troppo difficile e rimase lì seduto a guardare la strada con l’albero in spalla”. Quando finalmente riparte, deve sedersi cinque volte prima di arrivare a casa. Una volta giunto alla capanna, Santiago si sdraia sul letto e si addormenta.
Manolin arriva alla capanna, mentre Santiago sta ancora dormendo. Il ragazzo fa un salto a prendere del caffè per il vecchio, piangendo lungo la strada verso la Terrazza. Manolin vede alcuni pescatori radunati intorno alla barca, intenti a misurare il marlin: cinque metri e mezzo. Quando Manolin torna alla capanna, Santiago è sveglio. I due scambiano due parole e Manolin dice: “Adesso torniamo a pescare insieme”, al che Santiago risponde: “No. Io non sono fortunato. Non sono più fortunato”. Manolin obietta: “Al diavolo la fortuna […]. La fortuna la porterò io”. Alla fine Santiago non si oppone a questa proposta e Manolin va a recuperare una camicia e qualcosa da mangiare.
Quel pomeriggio ci sono dei turisti alla Terrazza. Una donna vede la spina dorsale del marlin ondeggiare nella marea. Non riconoscendo lo scheletro, chiede al cameriere cosa sia. In un italiano stentato, il cameriere risponde esqualo, pensando che la donna voglia sapere cosa sia successo. La donna dice al suo compagno che non sapeva che gli squali avessero una coda così bella. Nel frattempo, nella capanna, “il vecchio si era riaddormentato. Dormiva ancora prono e il ragazzo era seduto accanto a lui a vegliarlo. Il vecchio sognava i leoni”.
Analisi
In questa sezione finale, Santiago si scusa ripetutamente con il marlin in un modo che offre un’altra chiave di lettura del suo peccato. Il vecchio dice: “Mezzo pesce […]. Tu che sei stato un pesce. Mi dispiace di essere andato troppo al largo. Ho mandato in malora entrambi”. La trasgressione di Santiago non è più quella di aver ucciso il pesce, ma di essersi spinto troppo al largo nell’oceano, “lontano da tutta la gente del mondo”. Mentre il primo peccato ha contribuito a spiegare l’inevitabile infelicità della condizione umana, il secondo si concentra invece sull’infelicità evitabile determinata da un’azione intenzionale. Santiago ha scelto di andare troppo al largo; non aveva bisogno di farlo, ma compiendo tale azione è costretto a cedere il proprio premio, il marlin, al mare geloso.
Questa interpretazione del peccato di Santiago è strana perché sembra separare l’uomo dalla natura in un modo che è in contraddizione con il resto del romanzo. Andare troppo al largo è un affronto alla natura simile all’arrogante follia della tragedia greca; Santiago è andato incontro al disastro a causa del proprio orgoglio. Tuttavia, questo aspetto non risulta evidente in nessun precedente punto del romanzo. Il mare sembrava accoglierlo, fornendogli cibo e compagnia durante la sua spedizione. La natura non opponeva alcuna resistenza alle sue attività, tranne forse gli squali, che comunque non sono mai stati creati per essere i vendicatori della natura. Questa lettura del peccato di Santiago risulta quindi molto problematica.
Dopo aver visto i due squali dal muso a spatola, Santiago dice “Ay”, una parola che Hemingway descrive come “solo un suono come quello che potrebbe emettere un uomo, involontariamente, sentendo il chiodo trapassargli le mani ed entrare nel legno”. Questa è un’esplicita identificazione di Santiago con Cristo. Più avanti, Santiago porta l’albero in spalla alla capanna – proprio come Cristo ha portato la croce sulle spalle – cadendo diverse volte (come Cristo fece nelle stazioni delle Via Crucis) per poi sdraiarsi sul letto e addormentarsi “prono sopra i giornali con le braccia distese e le palme in su”, richiamando la crocifissione.
Il discorso di Santiago sulla fortuna, dopo l’attacco del secondo galano, è interessante dal punto di vista drammatico, in quanto prefigura la sfortuna di Santiago e offre ai lettori una minima illusione di speranza mentre il romanzo si avvicina alla fine. Il vecchio si domanda: “Magari avrò la fortuna di portare a casa la metà anteriore. Potrei anche avere un po’ di fortuna. No, disse. Hai abusato della tua fortuna quando sei andato troppo al largo”. Queste parole preannunciano chiaramente la perdita dell’intero marlin. Più tardi, tuttavia, Santiago fa un’osservazione: “La fortuna arriva in molte forme e chi sa riconoscerla?”. Questa affermazione lascia certamente intendere che la fortuna può essere con Santiago anche se non è evidente a lui o ai lettori. Naturalmente non c’è fortuna per Santiago, ma il fatto di suggerire che ci potrebbe essere conferisce maggiore potenza alla sfortuna finale di Santiago.
Che Santiago arrivi in fondo al romanzo imbattuto e ancora in possesso della propria dignità è dimostrato dalla sua conversazione con Manolin. Le sue prime parole al ragazzo sono: “Mi hanno sconfitto, Manolin. Mi hanno veramente sconfitto”. Tuttavia, subito dopo, il vecchio sposta il discorso su questioni ordinarie come cosa farne della testa del marlin o che cosa ha preso Manolin in sua assenza. Quando Santiago rifiuta di pescare con Manolin a causa della propria mancanza di fortuna, il ragazzo risponde che la porterà lui la fortuna. Presto, Santiago discute di come procurarsi una buona lancia in vista del loro prossimo viaggio. Infine, nell’ultima frase del romanzo, ci viene raccontato che “il vecchio sognava i leoni”, gli stessi simboli di forza e giovinezza di cui ha goduto prima di intraprendere la navigazione. Fedele alla formula per l’eroismo di Hemingway, Santiago, nonostante tutte queste prove e tribolazioni, rimane la stessa anima sfortunata ma imbattuta di prima.
La turista alla fine del libro rappresenta l’incapacità femminile di apprezzare la sfida maschile di Santiago. Lo scheletro del marlin, simbolo fallico, viene descritto come “spazzatura in attesa di andarsene con la marea”. Non parla la lingua del cameriere e di Santiago, e quindi non è al corrente delle grandi gesta del vecchio. Il suo fraintendimento è piuttosto ingenuo, ma il fatto che lei sia l’unico personaggio femminile nel romanzo e che questo episodio compaia proprio nell’ultima pagina carica questa situazione di un ulteriore significato.