Uno, nessuno e centomila

Uno, nessuno e centomila Riassunto e analisi di - Libro ottavo

Durante il processo, iniziato molti mesi dopo lo spiacevole episodio, per merito della meticolosità con cui il giudice ha raccolto prove e testimonianze per questo paradossale caso, Anna Rosa racconta di essere stata aggredita e di come lo sproloquio di Vitangelo l’abbia spaventata e impaurita, tanto da impugnare l’arma ben custodita sotto il cuscino. Vitangelo invece, presentatosi con un berretto, degli zoccoli e un “camiciotto turchino”, abbigliamento tipico dell’ospizio di mendicità costruito grazie alla sua donazione e presso il quale si è ritirato, liquida l’intera vicenda come un mero e sgradevole incidente, nonostante la confessione della donna, contribuendo ad aumentare l’ilarità presente in aula, causata dall’assurdità dell’intera vicenda: un uomo come lui, un tempo temuto in quanto figlio di un ignobile usuraio, era ora convocato in aula dopo il suo tentato omicidio, vestito in modo bizzarro tanto da confermare definitivamente l’accusa di follia rivoltagli dai suoi familiari e avvalorata dai suoi atteggiamenti. Probabilmente il suo atipico abbigliamento e la fama di folle che da tempo lo precedevano, contribuiscono, secondo Vitangelo, all’assoluzione completa di Anna Rosa. L’intera faccenda subisce, ancora una volta, un sistematico processo di banalizzazione e travisamento da parte della comunità di Richieri che, incapace di comprendere la straordinarietà che caratterizza la storia del protagonista, tende a fornire una versione normalizzante capace di rispettare gli ordinari parametri di narrazione e giudizio sociali. Il tutto è etichettato come una comune storia di tradimento: Vitangelo, inetto, parassita e ora fedifrago, ha cercato di cancellare la propria denigrante fama per attirare su di sé le attenzioni di Anna Rosa, amica della moglie da sempre desiderata dall’uomo. Ciononostante, stanco di aspettare segni d’intesa da parte della donna, decide di aggredirla, essendo così colpito da un colpo di pistola che la sventurata spara in propria difesa.

Alla fine del romanzo si assiste dunque alla morte dell’uno, il vecchio Vitangelo Moscarda, e dei centomila, l’indolente ma affettuoso Gengè assieme a tutte le innumerevoli maschere che gli altri hanno generato e attribuitogli, per osservare come essendo ormai nessuno, giunga alla propria epifania, preferendo un luogo ameno per la propria non-vita, per un’esistenza che non conclude, lontana dal frastuono dell’illusorio mondo borghese, nella quale poter essere “nuvola”, “vento” o “libro”, libero dalla storia e dai ricordi, dai nomi che altro non sono che “un’epigrafe funeraria” e lontano dai contorni netti che concernono l’illusione di possedere una e una sola identità. Egli rinuncia a tutto, persino al suo nome, pur di non essere ancora qualcuno: la sua aspirazione è annullare qualsivoglia corrispondenza tra il nome e la cosa, poiché desidera divenire semplicemente un qualcosa di indistinto e indefinito, perché il nome è la morte dell’essere e conviene ai soli morti. Tutti a Richieri lo credono matto ma lui sa di aver finalmente raggiunto, malgrado nell’emancipazione e annullamento di sé, la propria libertà, lontano da tutte le maschere: “La città è lontana” e ciò basta e aggrada l’anima di Vitangelo. Il capitolo non presenta una convenzionale chiusura narrativa ma, volutamente non conclude, così come la vita.