Studi onomastici sull'opera
Attraverso studi onomastici è possibile analizzare l’intera opera pirandelliana per ricercare significati e simboli celati. In particolare, il nome del protagonista del romanzo Uno, nessuno e centomila, richiama l’attitudine di antieroe letterario che lo caratterizza: Vitangelo significa “angelo della vita, colui in grado di volare al di sopra delle mediocrità”, malgrado il lettore assista alla morte dell’uno solo a seguito di violenti arrovellamenti interiori che animano e offuscano la capacità critica di Vitangelo; Moscarda è un diretto riferimento alla mosca, insetto dalla vita breve e vittima di scarsa considerazione sociale. In principio, il cognome del protagonista doveva essere Monarda (dal greco mónos ovvero solo, unico, con l’aggiunto del suffisso con valore negativo - arda), così come afferma lo stesso Pirandello in una lettera del 26 maggio 1910 indirizzata a Bontempelli: “Se sapesse in quale tetraggine io mi sento avviluppato, senza più speranza di scampo! Lo vedrà dal mio prossimo romanzo: Monarda - Uno, nessuno e centomila”. È probabile che il cambio onomastico sia dovuto a una scelta ponderata riguardo la così irriducibile immediatezza della trama: il cognome Monarda avrebbe rapidamente suggerito al lettore l’irraggiungibile e unico obiettivo del protagonista, ossia giungere all’unità per sfuggire ai centomila creati dagli altri. Inoltre, in una lettura critica che tenga conto dell’aura autobiografica che avvolge il romanzo, non è scorretto pensare come Moscarda sia non solo una comoda soluzione alla facile lettura interpretativa della vicenda, ma anche un richiamo a un plausibile pseudonimo utilizzato da Pirandello all’interno della raccolta di versi Fuori di chiave (1912), nella quale si era identificato con una “mosca senz’ale”. A prova di ciò, lo stesso narratore fa riferimento alla comunione fonica tra il suo cognome e il piccolo insetto all’interno del Libro Terzo:“Il nome, sia: brutto fino alla crudeltà. Moscarda. La mosca, e il dispetto del suo aspro fastidio ronzante”. Che il nome definitivo, Vitangelo Moscarda, generi dunque una ossimorica corrispondenza del tutto in linea con la rottura dei codici tradizionali del romanzo presenti all’interno del testo, è lampante e frutto di una chiara volontà autoriale.
La figura paterna
Collocando il romanzo all’interno del più ampio contesto storico-personale pirandelliano, l’alone autobiografico che circonda l’opera pare rivelare un ragionevole legame tra il binomio padre-figlio rappresentato da Vitangelo nella vicenda e l’esperienza che lo stesso autore ha avuto nel corso della sua vita: così come il protagonista di Uno, nessuno e centomila subisce una lacerante distanza che lo allontana da qualsiasi possibilità di dialogo con la figura paterna, emblema di valori e modi di vivere pertinenti alla borghesia e anacronistici nella realtà in cui l’intreccio ha luogo, laddove l’unica possibilità di avanzare necessita l’abbandono della tradizione e dei suoi secolari principi a favore di un continuum infinito senza passato, allo stesso modo Pirandello si è scontrato più volte col padre, emblema dei valori risorgimentali, ormai inapplicabili nella società novecentesca caratterizzata dalla totale assenza di solidi punti di riferimento, e incapace di sostenere le sue attitudini. Si tratta di uno scontro sociale che è anche psicologico: quanto più i padri appaiono adatti alla vita e sicuri di sé, più i figli si sentono inetti, privi di energie e di desideri, abbandonati a loro stessi.
Il denaro
La dissacrante rappresentazione del mondo borghese interessa non solo le figure paterne, distante per valori e ideali dalla loro progenie, ma svariati personaggi presenti nel testo, tutti accomunati dalla brama del denaro: ad esempio, Dida è appassionata dal suo guardaroba, incurante del male che dilania la coscienza del suo coniuge; Quantorzo e Firbo sono spinti dal solo profitto dell’istituto bancario; la rappresentazione del clero all’interno della piccola comunità designa un bisogno spasmodico di accumulare ricchezze; il giudice è fermo sulle sue solide ma obsolete certezze. Ebbene, l’unico motore trainante le vite dei personaggi che affollano il testo è dunque il denaro (con richiami non tanto impliciti alla roba verghiana): ciò vale per gli abbienti ma anche per gli indigenti, poiché Marco di Dio è descritto come così intrappolato nei meccanismi portanti l’intero mondo borghese, da essere il primo a giudicare Moscarda quando questi esercita nei suoi confronti un atto gratuito e realmente disinteressato.