“Le damigelle e lei sono tutte un brillio d'oro, tutte grappoli di perle, tutte diamanti, tutte rubini […]” (Metafora)
Nel capitolo 10, Sancio racconta a don Chisciotte di aver visto Dulcinea uscire da Toboso con due fanciulle. Nel descriverle, utilizza una serie di metafore che evidenziano la bellezza delle donne e il loro abbigliamento. Quando dice che sono “brillio d'oro”, intende dire che sono ricoperte di gioielli. Poi il riferimento a perle, diamanti e rubini è un riferimento all’eleganza e alla nobiltà di Dulcinea e delle sue fanciulle. Questa descrizione metaforica delle donne da parte di Sancio contrasta nettamente con ciò che don Chisciotte vede in seguito, e l’unica spiegazione che il suo scudiero riesce a dargli è che sia l’amata di don Chisciotte che le sue fanciulle hanno l’aspetto di semplici pastorelle perché sono state incantate.
“Aveva appena la bianca aurora dato tempo a che il rilucente Febo al calore dei suoi ferventi raggi rasciugasse le liquide perle dei suoi capelli d'oro, quando don Chisciotte, scuotendo via la pigrizia delle membra, si drizzò in piedi e chiamò il suo scudiero Sancio […]” (Metafora)
Il capitolo 20 si apre con queste metafore dell’alba. Febo, il personaggio mitologico latino associato al sole, sciacqua le “liquide perle dei suoi capelli” “al calore dei suoi ferventi raggi”. Questa descrizione si riferisce a come le gocce di rugiada evaporano a causa delle prime luci calde dell’alba. D’altra parte, in questo contesto, don Chisciotte si sveglia e si scrolla di dosso “la pigrizia delle membra”, cioè quella stanchezza muscolare che rimane come residuo delle ore di sonno e chiama il suo scudiero. Sancio russa in modo rumoroso e volgare. In questo senso, è interessante notare questo gioco di contrasti che Cervantes propone tra l’immagine estremamente poetica dell’alba e il russare pacchiano di Sancio. In un certo senso, è possibile affermare che questa coesistenza tra il sublime e l'ordinario è un fenomeno che attraversa e caratterizza tutto il Don Chisciotte.
“Il mio signor don Chisciotte della Mancia […] è un nobiluomo molto assennato che sa di latino e di volgare come un baccelliere e in ogni cosa ch'egli tratta e consiglia procede da molto valoroso soldato […].” (Similitudine)
Nel capitolo 27, quello dell’avventura del raglio, Sancio spiega le virtù del suo padrone ai presenti alla locanda. Nel farlo, paragona don Chisciotte a un beccelliere, per quanto riguarda le sue virtù intellettuali, e poi lo paragona a un “valoroso soldato”, per quanto riguarda il suo buon senso e la sua capacità di aiutare. Queste due similitudini danno un’immagine di don Chisciotte non solo come uomo virtuoso, ma anche come uomo sano di mente, che è l’intenzione principale di Sancio nei confronti dell'oste e degli altri presenti.
“[…] ed io so che non ci sarebbe rasoio che radesse le vostre signorie meglio di come la mia spada spiccherebbe dalle spalle la testa di Malambruno […].” (Similitudine)
Nel capitolo 40, don Chisciotte dice questo alla Desolata e alle sue fanciulle. Malambruno ha lanciato su di loro un incantesimo a causa del quale tutte portano sul viso delle barbe insolite. Il Cavaliere dei Leoni è impaziente di incontrare il malvagio incantatore e usa una similitudine per indicare come ucciderà Malambruno, ovvero gli taglierà la testa con la stessa facilità con cui un rasoio taglierebbe la barba alle fanciulle.
“[…] Claudia […] l'aria squarciò con i sospiri, saettò di gemiti il cielo, si strappò i capelli disperdendoli al vento, si tempestò di colpi il viso con le sue proprie mani; tutti i segni dette insomma di dolore e di cordoglio quali si potrebbero immaginare.” (Metafora)
Nel capitolo 60, Rocco Guinart, il bandito che don Chisciotte incontra sulla strada per Barcellona, è con Claudia, che dopo aver sparato a don Vincenzo, il suo promesso sposo, è andata a vedere se è ancora vivo. Dopo aver chiarito l’equivoco che ha portato Claudia a sparare a Vincenzo, i due si sposano, anche se è troppo tardi perché lui è ferito a morte. Don Vincenzo muore e la reazione di Claudia è descritta con una concatenazione di metafore che rivelano la sua profonda desolazione: sospiri che rompono l’aria, lamenti che feriscono il cielo. In questo senso, si possono immaginare le grida di angoscia di Claudia come strazianti, così potenti e dolorose che, metaforicamente, sono in grado di ferire il cielo.