Riassunto
Capitolo 18: Di ciò che successe a don Chisciotte nel castello o casa del cavaliere dal Verde Gabbano, nonché di altre cose straordinarie
Arrivati a casa del Cavaliere dal Verde Gabbano vengono accolti dalla moglie e dal figlio di don Diego. Mentre don Chisciotte lascia le armi in una stanza, don Lorenzo, lo studente poeta figlio di Diego de Miranda e donna Cristina, chiede al padre chi sia il cavaliere errante appena arrivato. Il cavaliere dal Verde Gabbano risponde di aver visto don Chisciotte “fare cose degne del più gran matto del mondo e gli ho sentito esprimere idee tanto assennate che cancellano e annullano gli atti suoi”, e lo invita quindi a confermare ciò che dice parlando con don Chisciotte.
Don Lorenzo incontra don Chisciotte e, dopo un breve scambio, il cavaliere errante apprezza l’umiltà del ragazzo come poeta. Poi don Lorenzo, non riuscendo a determinare il grado di follia di don Chisciotte, gli chiede informazioni sulla sua formazione, e don Chisciotte risponde che è stato addestrato nella scienza della cavalleria. L’hidalgo continua poi a descrivere le numerose virtù della cavalleria, allora, don Lorenzo individua la componente della follia nel suo interlocutore, anche se, più tardi, quando vengono chiamati a cena, riconosce al padre che don Chisciotte “è un matto a strie: voglio dire, tutto lucidi intervalli”.
Dopo cena, don Chisciotte chiede a don Lorenzo di recitare qualcosa. Il figlio del Cavaliere dal Verde Gabbano recita un testo che affascina don Chisciotte a tal punto che finisce per chiedergli un’altra lettura, questa volta di versi più lunghi. Don Lorenzo accetta e recita un sonetto sulla favola di Piramo e Tisbe. Allora, l’hidalgo si meraviglia nuovamente del talento del giovane poeta e lo riempie di elogi.
Il quarto giorno del suo soggiorno a casa di don Diego de Miranda, don Chisciotte decide di continuare il suo viaggio. Prima di partire, consiglia a don Lorenzo di abbandonare la poesia e di diventare un cavaliere errante, se ciò che vuole davvero è la fama. Con questo suggerimento, “finì di mettere in luce la sua sempre maggiore pazzia”, fornisce a don Diego e a suo figlio gli argomenti necessari per giudicarlo pazzo. Tuttavia, gli dice anche che, se insiste nell’essere un poeta, deve farsi guidare più dall’opinione degli altri che dalla sua. Infine, don Chisciotte e Sancio partono.
Capitolo 19: Dove si racconta l’avventura del pastore innamorato, con altri casi veramente divertenti
Don Chisciotte e Sancio si imbattono in due contadini e due studenti che stanno andando nella loro stessa direzione. Questi ultimi, dopo aver scoperto chi è l’uomo vestito da cavaliere, lo invitano ad andare con loro a uno dei matrimoni più belli e ricchi mai celebrati nella Mancia. Quando don Chisciotte chiede se si tratti del matrimonio di un principe, lo studente risponde di no, è il matrimonio di un ricco contadino di nome Camaccio con Chiteria, la più bella delle contadine. D'altra parte, dice che il padre di lei ha deciso di farla sposare con Camaccio affinché la figlia non finisca con il suo vecchio spasimante, Basilio, dato che quest’ultimo non ha la stessa ricchezza dell’altro. Don Chisciotte, dopo aver saputo che Basilio è abile con la spada, dice che solo per questa grazia dovrebbe sposare la bella Chiteria. Lo studente commenta anche che, dopo che Basilio ha saputo del matrimonio, non ha più riso né parlato in modo sensato.
Sancio spera che Chiteria rifiuti il matrimonio e torni con Basilio e don Chisciotte rimprovera il suo scudiero per le espressioni confuse che ha usato per dire questo, e ciò porta a una discussione tra i due studenti. Il primo, quello che ha parlato finora, sostiene di essere orgoglioso del suo linguaggio semplice ma chiaro, l’altro, soprannominato Corciuelo, lo accusa di sminuire la raffinatezza del linguaggio e di attribuire un’importanza esageratamente superlativa all’uso della spada. La discussione si conclude con un combattimento in cui don Chisciotte funge da giudice.
Lo studente sconfigge facilmente Corciuelo che ammette la sconfitta e si riconcilia con l’amico. Nei pressi del villaggio, già di notte, si notano i preparativi per il matrimonio. E, sebbene lo studente inviti don Chisciotte ad andare con loro, quest’ultimo rifiuta, sostenendo che i cavalieri erranti sono abituati a dormire nei prati.
Capitolo 20: Dove si narra lo sposalizio di Camaccio il ricco, e quel che avvenne di Basilio il povero
Don Chisciotte sveglia Sancio e gli propone di andare a vedere cosa stia facendo Basilio. Il suo scudiero risponde che è meglio non immischiarsi in questioni che non li riguardano, aggiungendo che la ricchezza di Camaccio sia la base migliore su cui costruire un futuro. Don Chisciotte non è interessato alle argomentazioni di Sancio e gli ordina di accompagnarlo da Basilio. Appena partiti, Sancio rimane affascinato dalla quantità di cibo e bevande preparate per il matrimonio. Don Chisciotte, dal canto suo, osserva i danzatori che arrivano al matrimonio, esibendosi in varie danze. In seguito, padrone e scudiero hanno una discussione in cui Sancio giustifica la sua simpatia per Camaccio per quanto ha mangiato grazie a lui, mentre don Chisciotte lo accusa di essere un villano che, per convenienza, dice: “Viva chi vince”.
Capitolo 21: Dove si continua a dire delle nozze di Camaccio e si narrano altri piacevoli casi
Sancio vede arrivare la sposa e la elogia con espressioni un po' rustiche che divertono don Chisciotte. In quel momento, dalla folla appare Basilio, che si pone di fronte agli sposi e dice alla bella Chiteria che non può sposarsi, lasciando intendere che ci sia un precedente fidanzamento clandestino tra lei e lo stesso Basilio. Tuttavia, chiarisce poi di non voler essere d’intralcio a Chiteria e Camaccio e tenta di togliersi la vita con un bastone con una punta di spada nascosta a un’estremità. I suoi amici e don Chisciotte lo soccorrono e Basilio, ancora vivo, chiede a Chiteria di dargli la mano come moglie prima che la morte lo prenda, e in questo modo, troverà il coraggio di confessarsi prima di morire. Don Chisciotte afferma che ciò che chiede il moribondo sia una cosa molto giusta e aggiunge che Camaccio sarà onorato se riceverà Chiteria come vedova del valoroso Basilio. Chiteria, dal canto suo, turbata dalla situazione, si inginocchia accanto a Basilio e gli chiede la mano con un gesto. Basilio le chiede di non farlo per obbligo e, dopo che lei dice di dargli la mano con sincerità, i due si proclamano marito e moglie. Ma quando il sacerdote li benedice, Basilio si alza e si toglie la punta della spada dal corpo, lasciando intendere che sia stato tutto un inganno.
Camaccio e i suoi amici, profondamente offesi dalla messinscena, sguainano le spade per affrontare Basilio e i suoi amici. Don Chisciotte si schiera a favore di quest’ultimo gruppo, poiché secondo lui l'amore ha trionfato, e agita la spada con tale abilità che Camaccio e i suoi amici, su consiglio del prete, decidono di non combattere. Chiteria, Basilio e gli amici partono per il loro villaggio per festeggiare, portando con sé don Chisciotte. Sancio, dispiaciuto di dover abbandonare una festa così sfarzosa come quella preparata da Camaccio, segue il suo padrone fino al villaggio di Basilio.
Capitolo 22: Dove si racconta la grande avventura dell’antro di Montesinos situato nel bel mezzo della Mancia, felicemente compiuta dal prode don Chisciotte della Mancia
Il narratore spiega che Basilio aveva raccontato l’inganno ad alcuni amici, ma non a Chiteria. Allora, don Chisciotte afferma che non è possibile parlare di inganno se la virtù che deriva dall’amore è prioritaria nella strategia. Poi continua a teorizzare a lungo sul matrimonio, il che spinge Sancio a borbottare tra sé e sé su quanto sia eccessivamente loquace il suo padrone. Don Chisciotte gli chiede cosa stia borbottando e lo scudiero risponde che avrebbe preferito ascoltare don Chisciotte che teorizzava sull'amore piuttosto che sposare la sua Teresa, visto che lei non è così buona con lui come Sancio vorrebbe.
Dopo aver trascorso tre giorni con gli sposi, don Chisciotte e Sancio decidono di andare alla caverna di Montesinos, accompagnati da un cugino di uno degli studenti che compaiono nel capitolo 19. Quando arrivano, don Chisciotte prega ad alta voce Dulcinea di aiutarlo nell’avventura di immergersi nell’abisso della caverna. Poi, Sancio e il cugino gli danno una corda, mentre don Chisciotte inizia a scendere nella caverna. Il cavaliere trascorre mezz’ora all'interno del luogo, finché lo scudiero e il cugino lo tirano su. Una volta fuori dalla caverna, don Chisciotte rimane con gli occhi chiusi e, quando Sancio e il cugino lo svegliano dal sonno, il cavaliere errante si lamenta di essere stato sottratto “alla più dolce vita e alla più piacevole visione che alcun essere umano abbia mai vissuto e veduto”.
Capitolo 23: Delle mirabili cose che l’insuperato don Chisciotte raccontò d’aver visto nel profondo antro di Montesinos, l’impossibilità e grandezza delle quali fanno ritenere apocrifa tale avventura
Don Chisciotte racconta al cugino e a Sancio ciò che ha visto all’interno della caverna di Montesinos. Dopo una breve descrizione del luogo, dice di aver visto l’immagine di un sontuoso palazzo, e poi gli era apparso Montesinos in persona, l’aveva salutato e gli aveva detto che lo aspettavano lì da molto tempo. Don Chisciotte gli aveva chiesto se fosse vera la storia che aveva strappato il cuore di Durandarte e lo aveva portato alla sua amata Belerma, come gli aveva chiesto l'amico prima di morire. Montesinos aveva risposto di sì e aveva condotto don Chisciotte all'interno del palazzo per mostrargli la tomba su cui riposava il corpo di Durandarte. A questo punto, Montesinos aveva rivelato che Merlino, quell’incantatore francese che, si diceva, fosse figlio del diavolo, aveva incantato Durandarte in quel luogo, così come aveva incantato lui e tanti altri. A quel punto, pur essendo morto, Durandarte aveva parlato e chiesto a Montesinos di strappargli il cuore e di portarlo a Belerma. Montesinos si era inginocchiato e gli aveva detto di aver già fatto ciò che gli aveva chiesto, poi l’aveva informato che il famoso don Chisciotte della Mancia era lì con lui. Ma, Durandarte aveva osato paragonare la bellezza di Belerma con quella di Dulcinea e don Chisciotte si era sentito offeso. Tuttavia, aveva messo un fermo alla situazione, dicendo che ognuna delle fanciulle era quella che era, e ognuna aveva la sua bellezza.
Quindi il cugino dice che non crede a tutte le cose che gli sono successe in una sola ora nella caverna, al che don Chisciotte risponde che per lui sono stati tre giorni. Sancio fa riferimento al fatto che questo lasso di tempo, così come tutte le storie che ha raccontato e può raccontare da quel momento in poi, sono il prodotto dall’incanto del luogo. Ma don Chisciotte non è d’accordo e dice di aver visto tutto con gli occhi e di aver toccato con le mani. Tra le cose che Montesinos gli ha mostrato c’è la stessa Dulcinea, ancora con le sembianze di contadina per effetto dell’incantesimo. Allora, Sancio lo accusa di essere pazzo. Il suo padrone descrive la situazione in cui aveva interagito con una delle fanciulle di Dulcinea, che gli aveva chiesto, su ordine della sua padrona, come stesse e, inoltre, gli aveva chiesto del denaro. Don Chisciotte continua il racconto, ma assume toni assurdi, di fronte ai quali Sancio afferma che gli incantesimi hanno cambiato il suo buon senso. Don Chisciotte, cerca di rafforzare l’idea della sua sanità mentale raccontando altre storie che gli sono accadute nella caverna di Montesinos.
Analisi
Nel capitolo 18 Cervantes offre una riflessione sulla letteratura attraverso il giovane don Lorenzo, poeta e figlio di don Diego. All’inizio don Chisciotte ascolta la recitazione del ragazzo e lo elogia, soprattutto quando recita i versi più importanti. Tuttavia, cerca di convincere il giovane Lorenzo che i poeti tendono ad essere arroganti e gli dice che, se cerca la fama, dovrebbe abbandonare la poesia e dedicarsi alla cavalleria errante, che definisce una disciplina:
“È una disciplina […] che racchiude in sé tutte o quasi tutte le altre discipline del mondo, perché colui che la professa deve essere giurisperito e sapere le leggi della giustizia distributiva ed equitativa per dare a ciascuno il suo e ciò che giustamente gli spetta; dev’essere teologo, per sapere dar ragione, in modo chiaro e perspicace, della cristiana fede ch’egli professa, dovunque gliene sia domandato; dev’esser medico, e specialmente semplicista, per riconoscere, in mezzo a luoghi disabitati e deserti, le erbe che hanno la virtù di guarire le ferite […], dev’essere astrologo, per conoscere dalle stelle quante ore son passate della notte e in qual parte o sotto quale clima della terra si trovi; deve sapere le matematiche, perché ad ogni passo gli avverrà di averne bisogno. E lasciando stare che dev’essere adorno di tutte le virtù teologali e cardinali […] egli deve serbar fede a Dio e alla sua dama; dev'essere casto nei pensieri, onesto nelle parole, generoso nelle opere, valoroso nelle imprese, paziente nelle fatiche, caritatevole con i bisognosi e, infine, sostenitore della verità, anche che il difenderla gli costi la vita. Tutte queste doti, grandi e piccole, fanno il perfetto cavaliere errante.”
Diversi critici sostengono che questo passo rifletta l’esperienza di Cervantes nel mondo letterario del suo tempo. Fino alla prima parte del Don Chisciotte, non era uno scrittore riconosciuto, né aveva vinto alcun premio letterario. Aveva però partecipato alla battaglia di Lepanto, quando fu colpito da tre pallottole alla mano sinistra. È questa la ferita di guerra che Cervantes sottolinea con orgoglio nel prologo e con la quale si difende da Avellaneda dopo che quest’ultimo lo ha definito “monco” nel prologo dell’apocrifo Don Chisciotte. In questo senso, è chiaro che, al di là di qualsiasi intenzione parodica di Cervantes nei confronti dei libri di cavalleria, l'autore riconosca il prestigio e il rispetto che derivano dall’essere un uomo d’armi.
Ora, dopo quattro giorni in casa di don Diego, don Chisciotte e Sancio decidono di proseguire. La strada non è più presentata come luogo di avventure (come nella prima parte), ma piuttosto come luogo di transito, dove padrone e scudiero incontrano persone con cui condividono momenti piacevoli, come per esempio il matrimonio del ricco Camaccio e della bella Chiteria. Sancio è abbagliato dalla sontuosità e dalla generosità delle persone presenti a questa festa, cosa che sarebbe stata impensabile nella prima parte del Don Chisciotte. In questo contesto è il disonorato Basilio a completare il triangolo amoroso e a determinare l’inizio dell’avventura di don Chisciotte.
Allo stesso modo, il capitolo 20 inizia con un’allegoria scritta in una prosa raffinata che viene improvvisamente interrotta dal volgare russare di Sancio: “Aveva appena la bianca aurora dato tempo a che il rilucente Febo al calore dei suoi ferventi raggi rasciugasse le liquide perle dei suoi capelli d’oro, quando don Chisciotte, scuotendo via la pigrizia delle membra, si drizzò in piedi e chiamò il suo scudiero Sancio che ancora russava […]”. Questa sorta di gioco che Cervantes mette in atto all’inizio del capitolo, in cui si intrecciano elementi tanto dissimili come il calore dei raggi di Febo e il russare di Sancio, propone la chiave di lettura del capitolo, ovvero la tensione di una scrittura pendolare che vede da un lato un don Chisciotte estasiato dalle danze e dai distici e dall’altro un Sancio che controlla le pentole e chiede cibo. Tuttavia, al di là delle grandi differenze tra la prima e la seconda parte del Don Chisciotte, qui si potrebbe stabilire una relazione simile tra i due libri, poiché entrambi sono elaborati a partire dalla mescolanza di cultura alta e popolare, con il capitolo 20 della seconda parte che è forse quello in cui l'ambizione di Cervantes si concretizza maggiormente in termini narrativi.
Il capitolo 21 inizia con l’arrivo degli sposi, accompagnati da un numeroso seguito. È Sancio a descrivere la sposa, usando un vocabolario rustico che fa ridere il suo padrone. Cervantes aveva già dimostrato nella prima parte di essere molto interessato alla prosopopea, cioè alla solennità del linguaggio. A questo proposito, Sancio descrive Chiteria in un modo tanto ordinario quanto puro: “Figlia d’una troia, che bei capelli! Se non sono posticci, io non ne ho veduti di più lunghi né di più biondi in vita mia”. Naturalmente, il fatto che Cervantes dia a Sancio la parola per descrivere Chiteria è in un certo senso un modo per ridere delle descrizioni, quasi un’iperbole, si potrebbe dire. Il modo in cui esagera le virtù dell’abito della fanciulla e le parole che sceglie per farlo fanno ridere. La prova inconfutabile dell’intenzione di Cervantes di suscitare umorismo con questa descrizione è che persino don Chisciotte ride. Forse per la prima volta in tutto il testo, il linguaggio basso e popolare di Sancio non mette a disagio il suo padrone ma lo diverte o almeno lo coinvolge.
Segue tutta la vicenda tra Chiteria, Camaccio e Basilio, in cui quest’ultimo si finge ferito a morte per poter sposare la fanciulla. Una volta scoperta la farsa, gli animi si scaldano e tutto è pronto per un grande scontro tra Camaccio e Basilio, ciascuno con il suo rispettivo esercito di amici. Nel bel mezzo di questa tensione, letteralmente in mezzo alle due “truppe”, Don Chisciotte pronuncia un breve ma commovente discorso sull’amore che commuove tutti i presenti e calma gli animi. Vale la pena notare che questo stesso episodio avrebbe avuto un finale molto diverso se fosse stato nella prima parte. In un certo senso, si può dire che questo don Chisciotte è una versione evoluta di quello del primo volume. Evoluto in che senso? In linea di massima, la sua follia non sembra metterlo in pericolo, come spesso accadeva nella prima parte. Al contrario, sembra essere una forma prudente e riflessiva di quella stessa follia, forse perché ha capito quali aspetti della cavalleria errante siano più vantaggiosi per il mondo e meno dannosi per lui.
Tornando al triangolo amoroso Camaccio-Chiteria-Basilio, è notevole come il discorso di don Chisciotte plachi il rancore del pubblico al punto che Camaccio permetta alla festa di continuare, e Chiteria e Basilio portino il cavaliere errante e il suo scudiero al loro villaggio. L’amore, in questo caso il discorso di don Chisciotte sull’amore, ha ristabilito l’ordine. Alla fine del capitolo, la narrazione non è diventata solenne, ma conserva ancora un po' della raffinatezza che il Cavaliere dai Leoni ha proposto con il suo discorso. Forse per chiudere circolarmente il capitolo, cioè per chiuderlo con un certo tocco di umorismo come era iniziato, vediamo Sancio completamente demoralizzato perché non potrà assaggiare quei piatti maestosi che stanno arrivando proprio mentre stanno partendo.
Il capitolo 21 può essere letto come il trionfo dell’amore sull’interesse. Tuttavia, questo trionfo può essere ottenuto solo grazie all’arte e all’ingegno di Basilio. D’altra parte l’inganno è giustificato, come dice lo stesso don Chisciotte, perché si tratta di un caso d’amore e allo stesso tempo perché c’è stato un precedente matrimonio segreto tra i due amanti. In questo senso Cervantes propone un triangolo amoroso in cui due dei suoi membri possiedono un livello di profondità di analisi maggiore rispetto all’altro. Chiteria, per esempio, prende il nome da una delle sante più venerate della Mancia in quanto protettrice delle greggi contro la scabbia. Allo stesso modo Cervantes gioca sul nome di Basilio, il cui patrono era famoso per le sue doti di oratore sacro, il che spiega perché il ragazzo in fin di vita riesca a fare un discorso così convincente da indurre Chiteria a sposarlo prima di perdere la vita. Ora Camaccio non ha altro attributo che la sua ricchezza ed è lei che lo definisce. In relazione a ciò, il critico letterario Agustín Redondo sostiene che il personaggio di Camaccio rappresenti quella superficialità che contrasta con i valori più profondi della vita, come l’amore, che don Chisciotte difende, e che è impossibile non metterlo in relazione con un altro personaggio di Cervantes, Capacho, lo scrivano poco virile del Retablo de las Maravillas, un entremés scritto da Cervantes e pubblicato nello stesso anno di questa seconda parte del Don Chisciotte.
Don Chisciotte e Sancio trascorrono tre giorni a casa di Basilio e poi partono con il cugino dello scapolo verso la caverna di Montesinos. Questo cugino viene presentato come studente, umanista e scrittore, e ciò lo rende funzionale a Cervantes per parodiare certe false erudizioni dell’epoca. Tuttavia, il cugino è anche molto importante per decomprimere la grande mole di materiale onirico che popola le pagine successive e, su un piano più concreto, aiuta Sancio a tirare la corda sia quando don Chisciotte scende sia quando emerge dalla caverna di Montesinos.
Tuttavia, è interessante notare che l’avventura di don Chisciotte nella caverna occupa a malapena poche righe del capitolo 22, mentre il resoconto di don Chisciotte quando torna in superficie occupa tutto il capitolo 23. In questo senso, Cide Hamete Benengeli, che ha abituato i lettori a vedere assolutamente tutto, questa volta decide di rimanere con Sancio e il cugino umanista ad aspettare sopra la caverna il ritorno dell’eroe. Il punto è che non può o non vuole vedere cosa succede lì dentro e si limita, quasi come un altro personaggio, alla ricostruzione degli eventi che don Chisciotte può fare (pur sapendo i rischi che questo comporta). A questo punto, per la prima volta nei due libri, il narratore, Sancio e i lettori sanno la stessa cosa e dipendono dal protagonista per accedere a una parte nascosta della storia.
In questo racconto di ciò che è accaduto all'interno della caverna di Montesinos, che copre il capitolo 23, don Chisciotte non ha remore a confessare di essersi addormentato, anche se chiarisce che è stato solo per pochi istanti, perché poi si è svegliato in un bellissimo prato dove c’era un castello di cristallo, dal quale è uscito Montesinos stesso. Mentre il Cavaliere dei Leoni continua il suo racconto piuttosto onirico, Sancio lo interrompe alcune volte con l’unico scopo di dare un po' di aria al racconto del suo padrone. L’ultima di queste interruzioni è piuttosto significativa. Don Chisciotte racconta di aver visto Dulcinea incantata nella grotta, e Sancio si convince che il suo padrone, che aveva mostrato qualche lampo di lucidità, sia in realtà ancora pazzo come sempre. Tuttavia, non è la prima volta che don Chisciotte sogna. Infatti, nella prima parte accade alcune volte, come, ad esempio, nell’avventura degli otri di vino. La grande differenza è che i personaggi che circondano don Chisciotte in quel momento fanno capire che il cavaliere sta dormendo. Nell’avventura della caverna di Montesinos, invece, questo manca e nemmeno Cide Hamete può testimoniare che don Chisciotte abbia effettivamente sognato e non abbia vissuto realmente ciò che racconta. Questa assenza produce una certa ambiguità o, almeno, un certo livello di dubbio su ciò che sia accaduto nella caverna, un dubbio o un'ambiguità che possono anche essere messi in relazione con questa nuova versione, più prudente e “ragionevole”, della follia di don Chisciotte.
Infine, vale la pena ricordare che con l’episodio della caverna di Montesinos Cervantes riprende il motivo platonico della caverna come scenario del processo di conoscenza e, allo stesso tempo, della creazione letteraria, poiché è nella mente di don Chisciotte, il creatore del racconto del suo sogno, che la caverna e i suoi abitanti hanno la loro vera esistenza. La caverna di Montesinos è popolata da esseri straordinari con caratteristiche popolari che demistificano la tradizione allegorica delle visioni dell’aldilà. In questo senso, fin da Omero e Virgilio, il sogno ha due porte, quella della verità e quella della menzogna, e in questo dilemma Cervantes vuole coinvolgere non solo narratori e personaggi, ma anche gli stessi lettori.