Riassunto
Capitolo 36: Nel quale si narra della strana e del tutto impensata avventura della Matrona Desolata detta altrimenti contessa Triffaldi, come anche di certa lettera che Sancio Panza scrisse a sua moglie Teresa Panza
In questo capitolo il narratore inizia spiegando che Merlino era, in realtà, un maggiordomo del duca e che colui che interpretava Dulcinea era un paggio. Il giorno dopo, la duchessa chiede a Sancio se ha iniziato con le frustate e lui risponde che se ne è date cinque con la mano. La duchessa lo avverte che Merlino non sarà contento di tanta indulgenza. Allora Sancio le chiede di dargli un suggerimento nuovo con cui possa frustarsi meglio e lei risponde che glielo darà. Lo scudiero dice poi alla duchessa di avere una lettera per sua moglie, Teresa Panza, e la duchessa chiede di vederla.
In essa, Sancio racconta alla moglie ciò che è accaduto con Merlino, le fa capire di aver conquistato il governo dell’isola a suon di frustate e la firma “Tuo marito governatore”. Dopo averla letta, la duchessa dice di volerla portare al duca perché la legga e Sancio acconsente. Poi il duca, la duchessa, don Chisciotte e Sancio pranzano in giardino. Dopo pranzo, appare un uomo dal corpo enorme, coperto da un mantello nero, che si presenta come “Triffaldino dalla Bianca Barba, sono scudiero della contessa Triffaldi”. L’uomo chiede se il valoroso e mai sconfitto cavaliere don Chisciotte della Mancia sia lì e il duca risponde di sì. Don Chisciotte dice allo scudiero Triffaldino di andare a prendere la sua padrona, chiamata anche dagli incantatori “Matrona Desolata”, così lui, da buon cavaliere errante, la aiuterà in tutto ciò di cui ha bisogno.
Capitolo 37: Nel quale si prosegue la celebre avventura della Matrona Desolata
Sancio comunica il suo timore che la Matrona Desolata ostacoli il governo dell’isola che il duca gli deve, poiché ha sentito dire che quando c’è una maggiordoma di mezzo non può accadere nulla di buono. Il duca, don Chisciotte e la duchessa cercano di convincere Sancio che la Matrona non sarà un problema per lui nella concessione dell’isola. Poi si odono i tamburi che annunciano l’ingresso della Matrona Desolata.
Capitolo 38: Nel quale si racconta la storia che della sua mala sorte fece la Matrona Desolata
Entra lo scudiero Triffaldino con la contessa Triffaldi per mano. Allora don Chisciotte chiede alla contessa se la sua forza e il suo valore di cavaliere errante possano fare qualcosa per rimediare alle sue angosce, e aggiunge che egli è a sua disposizione. La contessa Triffaldi si getta ai suoi piedi e lo ringrazia. Sancio quindi le chiede di raccontare la sua sofferenza, mentre il duca e la duchessa ridono sottovoce per la buona riuscita del loro scherzo.
La Contessa inizia a raccontare la storia dell’infanta Antonomasia, figlia della regina donna Magonza e quindi erede del regno, cresciuta sotto la tutela della stessa Triffaldi. All’età di quattordici anni, Antonomasia era una bella ragazza, con molti pretendenti, e tra questi c’era un cavaliere di corte che, tra le altre cose, era un poeta e un grande chitarrista. Questo giovane aveva cercato di conquistare la fiducia della Triffaldi per avvicinarsi ad Antonomasia. Ma la contessa, dice, aveva sentito alcuni distici cantati dal ragazzo ed era rimase sbalordita dal fatto che sembravano “perle i versi” e dalla sua “voce uno zuccherino”. Così critica i trovatori, poiché, sostiene, promettono cose che non possono mantenere. La contessa Triffaldi aveva permesso al cavaliere Cavicchio di avvicinarsi ad Antonomasia, ma c’era stato un problema: poco dopo la giovane era rimasta incinta. Allora Cavicchio aveva concluso che sarebbe stato meglio sposarsi prima che Antonomasia partorisse.
A questo punto, Sancio chiede alla contessa Triffaldi di sbrigarsi a raccontare la fine della lunga storia.
Capitolo 39: Nel quale la Triffaldi continua la sua stupefacente e memoranda storia
La Matrona Desolata continua con la storia. Il vicario era d’accordo con don Cavicchio che, quindi, aveva sposato Antonomasia. Ma ciò aveva fatto arrabbiare la regina a tal punto da causarle la morte tre giorni dopo. Allora, era arrivato Malambruno, cugino della defunta, che per vendicare la morte della regina donna Magonza aveva incantato Antonomasia e Cavicchio, trasformando lei in una scimmia di bronzo e lui in un terrificante coccodrillo di metallo. Malambruno aveva lanciato poi una maledizione su tutte le damigelle, facendo crescere loro la barba. Le damigelle presenti e la Desolata, si scoprono il volto e mostrano la barba. Infine, davanti allo sguardo attonito di tutti i presenti, la Desolata si lamenta della sorte che le è toccata e mostra segni di svenimento.
Capitolo 40: Di cose che appartengono e si riferiscono a quest’avventura e a questa memoranda storia
Una delle damigelle barbute afferma che se don Chisciotte non le aiuterà, “saremo portate a seppellire con tutta la barba”. Il Cavaliere dei Leoni risponde che naturalmente le aiuterà e, sentendo questo, la Matrona Desolata si riprende dallo svenimento. Poi, racconta a don Chisciotte che Malambruno in persona aveva promesso di inviare loro un cavallo volante quando la Matrona Dolorida avesse trovato il cavaliere in grado di liberarle dalla maledizione, in modo che potesse recarsi nel regno di Candaia per affrontare l’incantatore. Allora, Sancio chiede alla contessa come si chiami il cavallo e lei risponde che si chiama Clavilegno l’Aligero, perché è fatto di legno, ha un piolo sulla fronte, e cammina con leggerezza. Ma Sancio afferma di non essere molto convinto di voler salire su un cavallo di legno volante che si maneggia con un piolo. Così, quando le donne rimproverano l’atteggiamento dello scudiero, don Chisciotte dice che farà quello che gli ordina il padrone e afferma che ucciderà Malambruno. Sentendo ciò, la Triffaldi implora il suo incantatore di mandarle Clavilegno l’Aligero, e tutti si commuovono fino alle lacrime per tutto il sentimento che la Desolata mette nella sua supplica.
Capitolo 41: Della venuta di Clavilegno e fine di questa lunga avventura
La sera arrivano quattro selvaggi che portano sulle spalle il cavallo Clavilegno. La Desolata è entusiasta di vedere che le promesse di Malambruno sono vere e chiede a don Chisciotte e Sancio di salire sul cavallo per iniziare l’avventura. Don Chisciotte dice che lo farà volentieri, Sancio, invece, si rifiuta di salire su Clavilegno, sostenendo di trovarsi molto bene nel castello del duca, dal quale, peraltro, si aspetta ancora il governo dell’isola. Don Chisciotte, sorpreso da una tale dimostrazione di viltà, allontana Sancio e lo porta vicino ad alcuni alberi per parlargli da solo. Allora gli ordina di andare nel suo alloggio e di darsi almeno cinquecento frustate, in modo che possano mettersi in viaggio con questo conto in sospeso a metà. Sancio, da parte sua, risponde che è meglio che si mettano in viaggio prima e che, al ritorno, sarà lui stesso a frustarsi.
Don Chisciotte e Sancio salgono sul Clavilegno e si bendano gli occhi, come aveva ordinato Malambruno. Il Cavaliere dei Leoni inizia a muovere il piolo e tutti i presenti iniziano ad augurargli buona fortuna e a commentare che si vedono già camminare nei cieli. Sancio chiede al suo padrone come sia possibile che stiano andando così in alto se le voci della gente si sentono come prima, cioè come se fossero lì, accanto a loro. Don Chisciotte risponde che, essendo un’avventura straordinaria, è logico che le cose non abbiano il loro corso ordinario. In quel momento cominciano ad avvertire diversi cambiamenti climatici, corrispondenti alle diverse regioni dell’aria, creati artificialmente dai sudditi del duca.
La duchessa, suo marito e tutti i presenti si divertono ad ascoltare le reazioni di don Chisciotte e Sancio. Poi danno fuoco alla coda di Clavilegno che, piena di razzi fragorosi, vola in aria e fa cadere a terra don Chisciotte e il suo scudiero. A questo punto le damigelle barbute hanno lasciato il luogo e quando don Chisciotte e Sancio si tolgono la benda, sono sorpresi di vedere che si trovano nello stesso giardino di prima, con tanta gente stesa a terra. Dall’altra parte del giardino c’è una lancia conficcata nel terreno, con una pergamena legata ad essa. Su di essa, don Chisciotte legge che Malabruno è stato soddisfatto e che l’incantesimo non ha più effetto. In seguito, il Cavaliere dei Leoni si avvicina al duca, che sta ancora cercando di riprendersi. Quando ci riesce, legge la pergamena e abbraccia don Chisciotte, congratulandosi con lui per aver posto fine all’incantesimo. Sancio, dal canto suo, guarda per la prima volta il volto della Desolata senza barba e lo trova bellissimo. Poi lo scudiero inizia a parlare delle cose che ha visto nel cielo attraverso una piccola fessura della benda, ma nessuno gli crede. Dopo di che, don Chisciotte gli dice: “Sancio, poiché voi volete che si creda a voi ciò che dite d'aver visto nel cielo, io voglio che voi crediate a me quel che dissi d'aver visto nella grotta di Montesinos. E non vi dico altro”.
Analisi
Nel capitolo 36 la duchessa si diverte con l’aneddoto delle cinque frustate che Sancio si è dato sulle natiche. Poi lo scudiero le consegna una lettera per la moglie, Teresa Panza, in cui le dice di aver finalmente conquistato l’isola a suon di frustate e la firma "Tuo marito governatore”. La duchessa ne è talmente divertita che corre a mostrarla al marito. Qui, ancora una volta, si osserva la mancanza di scrupoli, per non dire direttamente la malvagità, dei duchi, che sono divertiti da un Sancio credulone, caduto nelle grinfie della finzione che hanno messo in piedi.
In linea di principio, tutto lasciava intendere che questo inganno orchestrato dai duchi avesse come obiettivo principale che don Chisciotte, il folle protagonista del libro L’ingegnoso hidalgo Don Chisciotte della Mancia, sfoggiasse tutto il suo delirio di cavaliere errante. Tuttavia, fino a questo punto, come si vede in molti dei capitoli successivi, i duchi hanno una particolare ossessione per Sancio. Perché? Per diverse ragioni. Da un lato, come accennato nelle analisi dei capitoli precedenti, i duchi sono affascinati dalla rusticità della dialettica di Sancio; sono cioè divertiti dal suo bisogno compulsivo di parlare per modi di dire e da quella sfacciataggine involontaria che lo porta a usare parole che non sono appropriate, secondo i costumi dell'epoca, nel contesto di una conversazione di palazzo. D’altra parte, i duchi si meravigliano del fatto che Sancio sia così ossessionato dall’idea di diventare governatore di un’isola. Questa ostinazione ad elevarsi socialmente attraverso questo titolo diventerà così forte e ridicola da portare lo scudiero ad assumere come vere molte delle finzioni che i duchi gli proporranno per divertirsi a sue spese. Ciò è evidente già quando Sancio, dopo aver chiesto un oggetto adatto per sculacciarsi, racconta alla duchessa di una lettera che ha scritto alla moglie, Teresa Panza, in cui accenna a questa profonda ossessione per il governo:
“sappia vostra altezza, signora cara dell'anima mia, che ho scritto una lettera a mia moglie Teresa Panza, dove le dò conto di tutto quello che mi è capitato da quando mi allontanai da lei; l'ho qui in petto, e non manca che metterci la soprascritta. Vorrei che vostra saggezza la leggesse, poiché mi pare che sia alla maniera governatoriale, cioè come suppongo che scrivano i governatori.”
Un’altra ragione del fascino esercitato dai duchi verso Sancio deriva dal contrasto tra la loro percezione dello scudiero e quella del suo padrone. In altre parole, da un pazzo riconosciuto come don Chisciotte, che ha già mostrato una perdita di consapevolezza della realtà nel libro che i duchi leggono, ci si aspetta che possa cadere facilmente in questi scherzi; ma non Sancio, che appare nello stesso libro come il personaggio che cerca costantemente di far capire al suo padrone quanto sia lontano dalla realtà. Per questo i duchi, soprattutto la duchessa, sono particolarmente affascinati dalla follia di Sancio e, come si vede più avanti, lo faranno oggetto delle più elaborate beffe: gli faranno credere di governare davvero un’isola quando, in realtà, è tutta una finzione messa in scena perché sia i duchi che i sudditi possano divertirsi a sue spese.
Verso la fine del capitolo 36, arriva lo scudiero Triffaldino, in una nuova finzione inventata dai duchi per prendersi gioco dei loro ospiti, e don Chisciotte, com’è prevedibile, si offre di aiutare la sua padrona, la contessa Triffaldi, detta anche Matrona Desolata. Il capitolo 37 rappresenta la metà esatta della seconda parte del Don Chisciotte. È un capitolo breve, apparentemente senza molta importanza, ma che può essere interpretato come un punto di svolta. Non contiene nulla che influisca realmente sulla trama, anzi, sembra più un capriccio estetico dell’autore che altro. Sancio blatera sui pericoli delle situazioni che coinvolgono le maggiordame, allora don Chisciotte lo trattiene e i duchi cercano di convincerlo che il governo della loro isola non sia messo in pericolo dall’arrivo della Matrona Desolata.
In che senso è possibile dire che questo breve capitolo, così insignificante dal punto di vista della trama, rappresenti un punto di svolta? È qui, esattamente a metà di questo secondo libro, che il nuovo ruolo di don Chisciotte viene alla ribalta. Non solo il Cavaliere dei Leoni sembra aver ceduto quasi completamente il ruolo di protagonista, ma è diventato anche un personaggio necessario perché la voce e le idee di Sancio acquistino maggiore importanza. In un certo senso, è possibile affermare che proprio nel capitolo 37, a metà esatta del secondo libro, don Chisciotte finisce per diventare il servo del suo scudiero. In altre parole, i ruoli si sono scambiati rispetto alla prima parte.
Già nel capitolo 38 la contessa Triffaldi si inginocchia davanti ai duchi, chiede di don Chisciotte, poi si getta ai suoi piedi e lo implora di andare a combattere il gigante Malambruno per porre fine all’incantesimo della bella Antonomasia e delle sue damigelle, che sono state maledette dal gigante con barbe ridicole. Si apre così una nuova pagina del copione speciale che i duchi hanno preparato per don Chisciotte e il suo scudiero, il cui unico scopo è divertirsi a costo della loro follia. Per farlo, ancora una volta, ricorrono al teatro, cioè alla recitazione. In questo senso, diversi critici hanno concordato sul fatto che il mestiere e l’amore per il teatro di Cervantes si possono vedere nelle pantomime che il duca e la duchessa mettono in scena. C’è un allestimento appositamente studiato per don Chisciotte e Sancio, ci sono attori e attrici, i sudditi dei duchi, che recitano le loro parti alla perfezione, e ci sono i duchi stessi, gli autori, che si divertono a vedere il loro dispositivo teatrale in azione. Don Chisciotte e Sancio sono i protagonisti di questo teatro, anche se inconsapevolmente. Questo diverte i duchi, i loro complici, e può essere divertente anche per i lettori. Anche se, a dire il vero, questa manipolazione subita sia da don Chisciotte che da Sancio suscita anche una certa simpatia o addirittura un senso di colpa, visto che tutti ridono a costo della follia di questi due personaggi.
L’aspetto forse più significativo di questo episodio, tuttavia, è che Sancio confonde la finzione con la realtà al pari, o addirittura peggio, del suo padrone. Senza andare oltre, cerca di parlare delle cose che avrebbe visto in cielo attraverso una fessura della benda che gli copre gli occhi. A questo proposito, è lo stesso don Chisciotte a fare un parallelismo tra Sancio e se stesso, quando dice: “Sancio, poiché voi volete che si creda a voi ciò che dite d'aver visto nel cielo, io voglio che voi crediate a me quel che dissi d'aver visto nella grotta di Montesinos. E non vi dico altro”. Questa è sicuramente una versione chisciottizzata dello scudiero, al punto che lo stesso don Chisciotte se ne rende conto. Questa evoluzione di Sancio è senza dubbio uno degli aspetti più rilevanti di questa seconda parte e che, in vari punti di questo secondo libro, dà slancio alla trama.
D’altra parte, vale la pena sottolineare alcuni aspetti della narrazione che evidenziano la natura parodica o, a volte, apertamente comica di questo secondo Don Chisciotte. Cervantes propone una contessa afflitta da incongruenze: la voce roca, l’uso eccessivo di superlativi, la confusione generica. In questo senso, non si tarda a capire che si tratta in realtà del maggiordomo dei duchi travestito. Tuttavia, per Sancio e don Chisciotte, entrambi particolarmente suscettibili di assumere la finzione come realtà in questa seconda parte, la contessa Triffaldi è sicuramente una damigella in pericolo che deve essere aiutata. L’aspetto comico nasce quindi dall’ironia di questa situazione in cui i lettori sanno qualcosa che i protagonisti non sanno: che la donna non è né una contessa né una donna, ma il maggiordomo travestito, e ogni dettaglio che la narrazione ci presenta sulla vera identità della Triffaldi, rende la questione più ironica e comica.