Riassunto
Capitolo 47: Di ciò che successe a don Chisciotte con donna Rodríguez, la maggiordama della duchessa, nonché d’altri casi meritevoli d’esser trascritti e d’eterno ricordo
Dopo l’episodio in cui viene aggredito da un gatto, don Chisciotte trascorre sei giorni chiuso nella sua stanza. Una notte sente entrare qualcuno e immagina che sia Altisidora, venuta a dichiarargli nuovamente il suo amore. Don Chisciotte si alza dal letto avvolto in una coperta gialla, si guarda intorno con attenzione e vede che sulla soglia della porta c’è una donna coperta. La donna avanza. Improvvisamente vede la figura confusa di don Chisciotte, si spaventa e quando vuole fuggire dalla stanza, inciampa nel suo stesso vestito. Il Cavaliere dai Leoni pensa che si tratti di un fantasma, ma la donna si presenta subito come donna Rodríguez e gli dice che è lì per aiutarlo a superare i suoi problemi. Don Chisciotte si affretta a precisare che a lui è utile solo Dulcinea, ma donna Rodríguez risponde che non ha intenzioni simili nei suoi confronti e dopo aver chiarito questo punto, esce dalla stanza per andare a prendere una candela.
Don Chisciotte rimane a riflettere su donna Rodríguez, senza escludere che si tratti di un inganno del diavolo. Tuttavia, quando lei torna, decide di baciarle la mano per mettere alla prova la sua modestia, cioè la sua capacità di autocontrollo, e per assicurarsi che non cederà mai ai suoi istinti. Poi torna sul letto e si raggomitola, mentre lei si siede su una sedia accanto a lui. Donna Rodriguez, dopo avergli raccontato parte della sua vita, accenna a un problema della figlia: il contadino che ha chiesto la sua mano ora non vuole sposarla e, nonostante si siano già lamentati di ciò con il duca, questi non sembra disposto a intervenire. Dopo avergli raccontato la situazione della figlia, donna Rodríguez dice che la duchessa ha un oscuro segreto: due incisioni “che porta alle gambe, per i quali sfociano tutti gli umori guasti di cui i medici dicono che è ripiena”. In quel momento alcune persone irrompono nella stanza, rimasta al buio perché la candela di donna Rodríguez si è spenta, e colpiscono sia lei che don Chisciotte.
Capitolo 49: Di ciò che successe a Sancio Panza nel far la ronda per la sua isola
Alla fine il dottor Pietro Rezio permette a Sancio di cenare con alcune delle prelibatezze preparate. Il nuovo governatore dell’isola lo esorta a non proibirgli mai più di mangiare qualcosa, perché gli disturba lo stomaco. Allora il dispensiere, anch'esso presente, dice che Sancio merita l’amore e la benevolenza degli isolani, perché finora ha governato con dolcezza. Più tardi, Sancio, il dispensiere e l’intendente del duca, tra gli altri, escono per un giro del regno. Poi sentono dei rumori di lame e quando arrivano sul posto, trovano due uomini che stanno combattendo, così, Sancio esorta uno degli uomini a dirgli la causa del litigio.
Uno degli uomini dice che l’altro ha vinto diecimila reali in una casa da gioco e che si è ritirato senza dare ai suoi avversari la possibilità di riavere i loro soldi. L’oratore è uno degli avversari che ha perso più soldi. Per questo, spiega a Sancio, è corso in strada e ha chiesto otto reali, come gesto d’onore, ma l’uomo non ha voluto dargli più di quattro reali e da lì è iniziata la rissa. Sancio chiede all’altro se quello che dice l’uomo è vero. Il vincitore risponde di sì e aggiunge che se non ha voluto dargli più di quattro reali è perché pensa che i perdenti dovrebbero accettare ciò che i vincitori danno loro, senza essere esigenti, dato che, alla fine, hanno perso. Inoltre, di solito sono dei truffatori. Sancio dice al vincitore di dare al perdente più di cento reali, poi manda via il perdente dall’isola per dieci anni, poiché il suo unico lavoro è andare in giro a chiedere l’elemosina.
Dopo aver parlato con alcuni abitanti dell’isola, una guardia gli porta una donna vestita da uomo. La donna afferma di essere la figlia di Pietro Pérez Mazorra, ma il maggiordomo risponde che conosce bene Mazorra e che non ha né figli né figlie. La donna dice allora di non sapere cosa stia dicendo e sostiene di essere in realtà la figlia di Diego della Lana. Il maggiordomo dice di conoscere bene Diego e di sapere che ha due figli, un maschio e una femmina, ma che nessuno conosce il volto di quest’ultima, perché il padre l’ha sempre tenuta sotto chiave. La donna dice di essere proprio la figlia di cui nessuno conosce il volto, si mette a piangere e confessa di aver scambiato i ruoli con il fratello perché, dopo dieci anni di reclusione, aveva bisogno di uscire e vedere qualcosa del mondo. Appaiono poi alcune guardie con il fratello della fanciulla imprigionato che conferma la storia della sorella. Sancio dice loro che non c’è bisogno di tanti pianti e bugie e decide di riportarli a casa del padre. Dopo aver lasciato i ragazzi a casa, il dispensiere confessa a Sancio di voler sposare la fanciulla, convinto che il padre glielo concederà perché è il servo del duca.
Capitolo 50: Nel quale si rivela chi fossero gl’incantatori e carnefici che frustarono la maggiordoma e pizzicottarono e graffiarono don Chisciotte; nonché cosa accadde al paggio che portò la lettera a Teresa Panza, moglie di Sancio Panza
Altisidora e la duchessa erano venute a sapere che donna Rodríguez si stava recando nella stanza di don Chisciotte e si erano appostate dietro la porta per spiare ciò che accadeva all’interno della stanza. Quando la duchessa aveva sentito la Rodríguez parlare delle incisioni sulle sue gambe, non era riuscita a trattenersi ed era entrata con Altisidora per picchiare donna Rodríguez e don Chisciotte.
La duchessa invia il suo paggio a casa di Sancio Panza per cercare Teresa Panza e consegnarle la lettera che il marito ha scritto per lei. Il paggio, per caso, incontra la figlia di Sancio che lo porta a casa di Teresa. Il giovane dice alla donna che è moglie di un governatore e le consegna la lettera, ma lei gli chiede di leggerla, essendo analfabeta. Dopo aver letto la lettera di Sancio, il paggio tira fuori un’altra lettera della duchessa e la legge a Teresa, che finisce per averne un’ottima impressione. La moglie di Sancio esce per comunicare la notizia del nuovo status del marito e compaiono il prete e il baccelliere Sansone Carrasco. Teresa Panza inizia a danzare emozionata e racconta loro delle calde parole che la duchessa le ha dedicato e del governo ricevuto dal marito. Il prete e Carrasco sono sospettosi della lettera e vogliono vedere chi l’ha portata. Così, la donna li porta dal paggio, che non fa che parlare di come il regno del governatore Sancio non sia da mettere in dubbio. Porta anche alcuni doni per Teresa, che sono la prova delle buone intenzioni della duchessa nei confronti della nuova moglie del governatore. Mentre il prete e Carrasco continuano a dubitare della plausibilità delle notizie portate dal paggio, Teresa e Sancia, sua figlia, fantasticano sui favori che riceveranno da Sancio.
Alla fine il paggio chiede che gli diano del cibo, perché intende andare via nel pomeriggio. Teresa si offre di farlo, ma il sacerdote le dice che non ha i mezzi per sfamarlo e costringe il paggio a fare penitenza con lui. Teresa, dal canto suo, paga un chierichetto con una focaccia e due uova per scrivere le lettere di risposta al marito e alla duchessa.
Capitolo 51: Del progresso che faceva il governo di Sancio Panza, nonché di altri piacevoli avvenimenti
Dopo il giro sia il dispensiere che il maggiordomo restano svegli tutta la notte, il primo perché non riesce a smettere di pensare alla fanciulla, il secondo perché sta ancora scrivendo un rapporto per il duca sulle attività di Sancio. Il mattino seguente, il governatore sta facendo colazione quando uno straniero gli fa visita per esporre una questione: un uomo voleva attraversare il ponte che porta all’isola e, quando le guardie gli hanno chiesto il motivo della sua visita, ha risposto che era andato a morire appeso a un albero. Questo, dice lo straniero, pone un problema perché c’è una regola molto rigida per entrare nell’isola: chi dice la verità sui motivi della sua visita passa, chi mente muore impiccato a un albero. Così Sancio capisce che l’uomo deve morire in un modo o nell’altro, ma ordina di lasciarlo passare perché come governatore preferisce fare il bene piuttosto che il male.
Dopo aver mangiato appare un uomo con una lettera di don Chisciotte a Sancio. Il governatore chiede al suo segretario di leggerla ad alta voce. Nella lettera, il Cavaliere dei Leoni dice di aver sentito parlare delle buone azioni di Sancio a capo dell’isola. Gli dà anche nuovi consigli su come essere un buon governante e gli dice che è stato un po' indisposto a causa di “graffiature” che lo hanno colpito. Infine, aggiunge che la duchessa ha inviato la lettera di Sancio a Teresa insieme ad alcuni regali, ma che non hanno ancora ricevuto risposta.
Sancio si chiude con il suo segretario e detta una lettera per Don Chisciotte in cui lo scudiero gli dice che il duca lo ha informato di spie che volevano uccidere il governatore dell’isola, ma che finora non ne ha viste. Gli racconta poi ciò che ha visto durante il giro della notte precedente e dice che prima o poi ringrazierà la duchessa per aver inviato la lettera e i regali a Teresa. Infine, ammette di non capire “quella dei gatti” e chiede a don Chisciotte, in caso di risposta della moglie, di pagare la diligenza per far arrivare la lettera sull’isola.
Una volta consegnata la lettera al segretario, Sancio continua a occuparsi dei suoi doveri di sovrano, come, ad esempio, moderare i prezzi di tutte le calzature o creare un “commissario dei poveri”.
Capitolo 52: Dove si racconta l’avventura della seconda maggiordama Desolata o Angustiata, altrimenti chiamata donna Rodríguez
Don Chisciotte sente che la vita nel castello del duca è contraria a ciò che l’ordine cavalleresco professa. Per questo motivo, durante un pranzo, chiede il permesso di recarsi a Saragozza in cerca di avventure. In quel momento appare donna Rodríguez e chiede di accompagnare don Chisciotte. Il duca e la duchessa le concedono il permesso; tuttavia, la Rodríguez ricorda a don Chisciotte che qualche giorno prima le aveva promesso di aiutarla con il contadino che aveva offeso sua figlia. Il Cavaliere dei Leoni se ne ricorda bene e dice al duca che sfida il contadino a duello. Il duca, da parte sua, garantisce che il contadino sarà avvertito e fissa il luogo del duello: la piazza del castello.
In quel momento torna il paggio con le lettere di Teresa Panza, una al marito e una alla duchessa che, dopo averla letta in silenzio, decide di leggerla ad alta voce. Nella lettera, Teresa ringrazia la duchessa per i regali e le chiede di dire a Sancio di mandarle del denaro, perché vuole andare a corte “perché schiattino gli occhi di mille invidiosi che ho già”. Infine, chiede alla duchessa di continuare a scriverle.
Tutti i presenti festeggiano le parole di Teresa e la duchessa esorta don Chisciotte ad aprire l’altra lettera, quella indirizzata a Sancio, e a leggerla ad alta voce. Don Chisciotte lo fa, in essa, Teresa dice al marito che sarà la duchessa stessa a informarlo delle sue intenzioni di andare a corte. Poi commenta che nessuno in paese può credere che lui sia diventato governatore, e parla di alcune notizie sui cittadini del loro villaggio. Infine, chiude la lettera dicendo che attende la sua risposta.
Capitolo 53: Della travagliosa fine e conclusione che ebbe il governo di Sancio Panza
Questo capitolo si apre con una riflessione di Cide Hamete sulla leggerezza e l’instabilità del presente. Con queste parole, il filosofo maomettano anticipa che “terminò, si esaurì, svanì, si dissolse come in ombra e in fumo il governo di Sancio”.
La settima notte da governatore Sancio è a letto e sente improvvisamente suonare forte le campane. La gente inizia a correre disperata, gridando che i nemici sono entrati nell’isola. Un uomo che passa accanto a Sancio gli dice che deve armarsi al più presto e allora il governatore ordina di consegnargli le armi. Vedendolo già armato, gli abitanti dell’isola gli dicono di andare avanti e di condurli alla vittoria. Sancio afferma che con tutte quelle armi non riesce a camminare e appena fa un passo, cade. Gli altri avanzano, alcuni inciampando su di lui, altri lo saltano. Segue una presunta battaglia e gli insulani cominciano a gridare che il nemico è stato sconfitto. Poi portano Sancio a letto e gli danno del vino per riprendersi da un tale caos. Una volta ripresosi, Sancio va dal suo asino e comincia a parlargli mentre lo sella. Gli dice che quando doveva solo preoccuparsi di tenerlo ben nutrito, le sue ore erano più felici. Poi, rivolgendosi al maggiordomo, al segretario, al dispensiere, a Pietro Rezio e ad alcuni abitanti, esprime il desiderio di dimettersi dal suo governo. Nonostante diverse persone cerchino di convincerlo a non partire, Sancio, con le lacrime agli occhi, saluta tutti e lascia l'isola.
Analisi
In questi capitoli continua l’intercalare di ambientazioni: palazzo, isola, palazzo, isola. Dopo che Cide Hamete ha raccontato chi è stato a picchiare la damigella e a pizzicare don Chisciotte un paio di capitoli prima, la duchessa invia un paggio molto discreto con le lettere, una collana di corallo e oro e un mucchio di vestiti per Teresa Panza nel capitolo 50. Il paggio va al villaggio di Sancio, trova Sancia che sta lavando fuori, consegna le cose a Teresa, parla a lungo con la donna, poi lei va a cercare il prete e Sansone Carrasco. Il paggio parla anche con loro, poi il prete lo porta fuori a pranzo e Teresa Panza ha ancora il tempo di dettare un paio di lettere, una per Sancio e l’altra per la duchessa, a un chierichetto, in cambio di una focaccia e due uova.
Rispetto ai capitoli precedenti, così come a quelli successivi, qui si può osservare un’alterazione della logica narrativa da parte di Cervantes. Sebbene questa alterazione non abbia una causa esplicita o definitivamente chiara, diversi critici la attribuiscono all’impatto che la pubblicazione del Don Chisciotte apocrifo di Avellaneda ebbe sull’autore. In cosa consiste questa alterazione della logica narrativa? Fondamentalmente nel fatto che Cervantes concentra in un solo capitolo un gran numero di azioni, cosa che non accadeva nei capitoli precedenti e non accadrà nemmeno in quelli successivi. In altre parole, questa insolita densità di situazioni drammatiche che troviamo in questo capitolo riflette, secondo la maggior parte dei critici cervantini, la necessità di Cervantes di affrettare la stesura della seconda parte del suo Don Chisciotte per poter andare a combattere il prima possibile contro quest’altro Don Chisciotte apocrifo.
Un altro degli aspetti che si possono evidenziare in questa zona turbolenta del secondo libro è l’umorismo, che è presente in tutti i capitoli. C’è quella leggerezza che controbilancia la solennità dei capitoli che contengono i consigli di don Chisciotte a Sancio su come essere un buon sovrano. D’altra parte, il lettore ha la possibilità di leggere un gruppo di capitoli in cui accadono molte cose in poco tempo, in modo caotico, a volte confuso, ma in cui Don Chisciotte riesce a esprimere gran parte della sua essenza: il parodico, l’umoristico. In questo senso, forse uno degli esempi più rilevanti è quanto Sancio si riveli un buon governatore. I suoi metodi sono poco ortodossi, quasi ridicoli, ma alla fine efficaci e dotati di un forte senso di giustizia sociale. Senza andare oltre, dopo aver risposto al suo padrone di non capire “quella dei gatti” che gli ha causato tanto disagio, il governatore Panza si incarica di moderare i prezzi delle scarpe e di creare una figura specifica di autorità per i poveri. Sancio, lo scudiero ignorante, il goloso Sancio, contro ogni previsione, governa con giudizio e giustizia, e forse ciò che meglio riflette l’evoluzione del personaggio è che lo fa semplicemente essendo se stesso.
Già nel capitolo 51 il medico Pietro Rezio insiste nel suo compito di non far mangiare Sancio Panza, sempre più affamato e deciso a lasciare il suo governo dell’isola. Sempre in queste pagine, al governatore Panza viene presentato un altro gioco d’ingegno, alla maniera delle dispute su cui aveva dovuto giudicare nei capitoli precedenti. Questa volta si parla di un ponte su cui si deve giurare davanti a quattro giudici dove e cosa si sta andando a fare sull’isola, con il rischio di morte per impiccagione se si mente. In questo contesto la trasformazione di Sancio raggiunge il suo apice. L’enigma che gli si presenta è di tipo speculativo, più sottile delle complesse dispute che ha dovuto risolvere in precedenza. In questo senso, questo del capitolo 51 è molto simile alle aporie, tanto care ai greci. Innanzitutto, Sancio si dimostra capace di riassumere con chiarezza gli elementi di un problema che gli si presenta in modo caotico, poi, ricorda opportunamente un consiglio del suo maestro (che gli ricordava, in caso di dubbio, la mitezza nell’esercizio della giustizia) per trovare una via d’uscita dalla spirale infinita di questa aporia. In breve, Sancio risolve il problema con naturalezza e semplicità, cosa che sarebbe stata difficile anche per un sovrano esperto. Come ci riesce? Semplicemente facendo appello ai suoi criteri di uomo semplice e umile. In fondo, la maggior parte delle persone a cui deve impartire giustizia sono come lui. In altre parole, Sancio ha una discreta sensibilità per i problemi degli abitanti della sua isola perché, in fondo, sono i problemi di persone semplici come lui, e questo gli rende più facile mettersi nei loro panni rispetto a un sovrano tradizionale.
In questo contesto, compare la lettera inviata da don Chisciotte a Sancio, seguita dalla risposta di quest’ultimo al suo padrone. In linea di massima, si può osservare che, all’improvviso, questa seconda parte sembra riempirsi di lettere. Nel capitolo successivo, il 52, ce ne saranno ancora di più, le lettere di Teresa Panza al marito e alla duchessa e la lettura della lettera che don Chisciotte ha appena inviato a Sancio nel capitolo precedente. D’altra parte, oltre a questa proliferazione di lettere, si moltiplicano anche le ambientazioni, all’intercalare tra l’isola e il palazzo si aggiunge ora il villaggio di don Chisciotte e di Sancio. In questo senso, sia la serie di lettere che l’aggiunta di un nuovo ambiente danno luogo alla descrizione degli stessi eventi ma da prospettive diverse, sia perché narrati da personaggi diversi, sia perché raccontati a destinatari diversi. Questa risorsa arricchisce la narrazione, in quanto espone una dimensione più intima dei personaggi e, allo stesso tempo, permette di accedere alle ripercussioni di alcuni eventi (come, ad esempio, il governo insulare di Sancio) dalla prospettiva di personaggi che prima erano fuori campo, come Teresa Panza o, addirittura, il prete e il baccelliere Sansone Carrasco.
Allo stesso modo, alcune di queste lettere, oltre a mostrare il matrimonio dei Panza in piena domesticità, sono legate al fenomeno dell’epistola del giullare e alla sua funzione letteraria. Questa risorsa raggiunse il suo apice nel periodo rinascimentale precedente alla pubblicazione del Don Chisciotte, quando fu messa in atto dai giullari ufficiali e non ufficiali che risiedevano nelle corti spagnole. Nel corso del XVI secolo si assistette a una grande crescita del costume sociale della corrispondenza e alla pubblicazione di libri che incorporavano le lettere come mezzo di comunicazione. Così è chiaro che Cervantes incorpora queste lettere come un dispositivo umoristico, attraverso il quale si accede alle particolarità della relazione tra Sancio e sua moglie, e alla presa in giro della signora Panza da parte della duchessa.
Ora, così come nei capitoli in cui don Chisciotte consiglia a Sancio come essere un buon sovrano il tono è piuttosto solenne, in questi capitoli successivi c’è un forte contrasto, in cui l’autore mette in scena una serie di situazioni chiaramente umoristiche e lo fa attraverso le lettere. D’altra parte, le lettere uniscono gli spazi divisi, portano avanti e indietro le voci dei protagonisti, li fanno interagire attraverso le distanze. In questo modo, le distanze scompaiono attraverso le lettere, si accorciano e, in un certo senso, preparano l’imminente incontro dei personaggi all’interno dello stesso scenario, in altre parole, preparano il futuro necessario e quasi imminente della storia.
Occorre soffermarsi ora sul modo in cui Sancio rinuncia al governo della sua isola. Nel momento stesso in cui si combatte la presunta battaglia (quel teatrino messo in scena dai duchi, che non hanno nemmeno bisogno di assistervi per il loro divertimento), si lamenta che con tutte quelle armi non riesce a camminare e, appena fa un passo, cade e viene calpestato dai soldati-attori. Dopo la vittoria degli isolani, il governatore Panza annuncia la sua decisione di dimettersi dal governo e, con le lacrime agli occhi, lascia l'isola.
“Fate strada, signori miei, e lasciatemi tornare alla mia antica libertà: lasciate ch'io vada a rintracciare la vita passata per risuscitarmi da questa morte presente. Io non sono nato per esseregovernatore, né per difendere isole e città dai nemici che vogliano assalirle. Meglio m'intendo di arare e vangare, di potare e propagginare le viti nelle vigne che di dar leggi e difendere provincie e regni. San Pietro sta bene a Roma: voglio dire che ognuno sta bene esercitando il mestiere al quale è nato. […] Lor signori rimangano con Dio e dicano al duca mio signore che nudo nacqui e nudo mi ritrovo: resto su' miei; voglio dire che senza un quattrino entrai qui a governare e senza un quattrino ne esco, molto al contrario di come sogliono uscire i governatori di altre isole.”
Perché erano ore più felici per Sancio quando doveva solo preoccuparsi di "rare e vangare, di potare e propagginare le viti nelle vigne”? Da un lato, perché si trattava di una responsabilità semplice e minore, in linea con l’essenza del suo carattere, dall’altro, perché si trattava sicuramente di qualcosa di reale, quotidiano, innocuo. È chiaro che si è di fronte a una versione donchisciottesca di Sancio, nel senso che confonde la finzione con la realtà quasi come faceva il suo padrone nella prima parte. Tuttavia, oltre a non mettere in discussione la legittimità del suo titolo di governatore, Sancio sembra capire che questa realtà non fa per lui. Perché? Perché è una realtà pericolosa, esigente e lontana dal suo villaggio, dalla sua famiglia e dal suo padrone. È, in un certo senso, quasi estranea come una finzione. A questo proposito, vale la pena notare che in tutto il romanzo i pericoli, sia per don Chisciotte che per il suo scudiero, derivano sempre dal confondere la finzione con la realtà.