Riassunto
Prologo al lettore
La seconda parte di Don Chisciotte della Mancia inizia con un prologo in cui Miguel de Cervantes usa la seconda persona singolare “tu”, per stabilire rapidamente un tono di complicità con il lettore: “con che bramosia, o lettore vuoi nobile vuoi plebeo, tu devi essere in attesa di questo prologo, credendo di trovarvi e rappresaglie e sgridate e improperi contro l’autore del secondo Don Chisciotte”. Questo “autore del secondo Don Chisciotte”, anche se non viene mai nominato, è Alonso Fernández de Avellaneda, un uomo che, senza il consenso di Cervantes, scrisse una seconda parte del Don Chisciotte e la pubblicò nel 1614. In questa versione apocrifa, c’è anche un prologo in cui Avellaneda si prende gioco di Cervantes perché è monco. Per questo motivo, il vero autore del Don Chisciotte utilizza il “Prologo al lettore” per rispondere al suo plagiatore e per chiarire, tra l’altro, di aver perso la mano in modo eroico nella battaglia di Lepanto, combattendo per la Spagna.
Più avanti, Cervantes sottolinea l’idea che questa seconda parte del Don Chisciotte che sta prologando “è tagliata dal medesimo artefice […] della prima”, cioè che è stata scritta dalla stessa persona che ha scritto la prima parte pubblicata nel 1605, in altre parole, lui stesso. Alla fine del prologo, chiarisce che questo nuovo libro si concluderà con don Chisciotte morto e sepolto, in modo che nessun altro possa scrivere storie apocrife sul suo protagonista.
Dedica al Conte di Lemos
In questa dedica, Cervantes si rivolge a sua eccellenza il conte di Lemos, e spiega di essersi affrettato a inviargli questa seconda parte del suo Don Chisciotte “a toglier via il fastidio e la nausea prodotti da un altro don Chisciotte che, mascheratosi sotto il nome di Seconda Parte, va girovagando per il mondo”.
Analisi
Fin dalla prima riga del “Prologo al lettore”, è chiara l’intenzione di Cervantes di rendere i suoi lettori complici dell’indignazione che un atto “peccaminoso” come quello di Avellaneda, che pubblica una versione apocrifa di Don Chisciotte, dovrebbe suscitare. Sebbene Cervantes affermi che “non mi passa neppure per l’idea” di criticare quest’uomo, descrive con precisione ciò che, in teoria, i suoi lettori si aspettano da lui: “Tu vorresti che io gli dessi dell'asino, del mentecatto, dello sfrontato”; in questo modo, il vero autore del Don Chisciotte si pone in una posizione talmente superiore rispetto al suo imitatore da non ritenere utile attaccarlo, pur chiarendo quali parole gli si addicono se decidesse di farlo. In un certo senso, si potrebbe dire che Cervantes invia un messaggio offensivo ad Avellaneda attraverso il suo pubblico di lettori, per non abbassarsi al ruolo di scrittore risentito.
Tuttavia, nel prologo della versione apocrifa di Avellaneda, quest’ultimo si prende gioco di Cervantes senza mezzi termini, arrivando persino a deridere la sua vecchiaia e la sua virilità. Cervantes usa il suo “Prologo al lettore” per difendersi da questi attacchi meschini, ma non lo fa attaccando direttamente l’aggressore, bensì attraverso i suoi lettori. Un esempio si incontra quando il creatore di Don Chisciotte ricorda che ha perso la mano nella battaglia di Lepanto, difendendo la Spagna. Con questa precisazione fa capire che solo una persona spregevole potrebbe deridere la sua disabilità.
D’altra parte, quando Cervantes fa riferimento al fatto che la sua seconda parte “è tagliata dal medesimo artefice […] della prima”, intende garantire la qualità di questa seconda parte del suo Don Chisciotte, stabilendo al contempo una distanza definitiva da quella versione apocrifa scritta da Avellaneda. In un certo senso, Cervantes confida che il pubblico riconosca l’eccellenza della sua penna, soprattutto in contrasto con quella povera del suo plagiatore.
Al di là della formalità a cui Cervantes si appella per criticare Avellaneda, è chiaro che la versione apocrifa del Don Chisciotte lo indigna molto. Infatti, conclude il “Prologo al lettore” dicendo che “ucciderà” il suo personaggio per evitare futuri plagi. E, come se non bastasse, utilizza la “Dedica al conte di Lemos” per continuare a criticare il suo plagiatore. Innanzitutto, è bene chiarire che il conte di Lemos, viceré di Napoli, era il mecenate di Cervantes. In questa dedica, il creatore del Don Chisciotte afferma che la seconda parte apocrifa di Avellaneda ha provocato un tragico sentimento di nausea nei confronti del personaggio di don Chisciotte, sentimento che Cervantes deve prontamente contrastare con la pubblicazione della vera seconda parte dell’opera da lui creata nel 1605.
Infine, è interessante notare che questa seconda parte de L’ingegnoso cavaliere Don Chisciotte della Mancia è chiaramente molto diversa dalla prima. È possibile identificare ciò già nell’evoluzione del titolo: l'“ingegnoso hidalgo” della copertina della prima parte è diventato “ingegnoso cavaliere” in questa seconda parte. In questo senso, è evidente la differenza di gerarchia e di importanza tra l’essere un semplice gentiluomo e un cavaliere. Il fatto che Cervantes abbia deciso di dare l’etichetta di “cavaliere” a don Chisciotte è un modo per riconoscere la trascendenza che il suo personaggio ha raggiunto dalla pubblicazione della prima parte nel 1605. Tuttavia, al di là di questo dettaglio, c’è una differenza sostanziale tra i due libri: l‘oggetto della parodia. Mentre nella prima parte l’oggetto era chiaramente il libro di cavalleria, in questa seconda parte la ricerca di Cervantes sembra essere molto diversa. Non ha più bisogno di parodiare Amadigi di Gaula o altri testi stranieri, perché il suo Don Chisciotte è diventato un fenomeno a sé stante, è autosufficiente e, per questo motivo, questa seconda parte del Don Chisciotte, in diversi passaggi, sembra essere più una parodia della prima parte che di qualsiasi altra cosa. Nonostante ciò, l’universo dei libri cavallereschi non scompare, ma si offusca e rimane una mera decorazione. E, con l’eccezione delle ultime pagine, in cui Cervantes attacca per parodia la versione apocrifa di Avellaneda, sono tanti i punti in cui questo secondo Don Chisciotte è un’aperta parodia del primo.