Riassunto
Capitolo 6: Di ciò che avvenne a don Chisciotte con la nepote e la governante: uno dei più interessanti capitoli di tutta la storia
La nipote e la governante di don Chisciotte cercano di convincerlo a non avventurarsi in una terza partenza. Lui, invece, parla delle differenze tra cortigiani e cavalieri erranti per giustificare l’importanza dell’avventura che vuole intraprendere. La nipote osserva che tutto ciò che ha appena detto sui cavalieri erranti è “favola e menzogna”. Don Chisciotte le risponde che, se non fosse la figlia di sua sorella, la punirebbe severamente per la bestemmia che ha appena pronunciato. La nipote fa notare che, sebbene i nobili possano diventare cavalieri, i poveri non possono. Don Chisciotte è d’accordo con lei, anche se spiega che l’unico modo per uscire dalla povertà è attraverso le lettere o le armi, e nel suo caso, ha optato per la seconda. Infine, dice che è il cavalierato a condurlo sul sentiero stretto della virtù e che i pensieri cavallereschi gli tolgono tutti i sensi. In quel momento, Sancio Panza bussa alla porta, don Chisciotte lo fa entrare e i due si chiudono nella camera del padrone.
Capitolo 7: Di quel che fu fra don Chisciotte e il suo scudiero, nonché di altri quanto mai famosi avvenimenti
Quando la governante di don Chisciotte si accorge della presenza di Sancio, deduce che i due si sono incontrati per definire i dettagli della terza partenza, e va quindi a cercare il baccelliere Sansone Carrasco per convincere don Chisciotte ad abbandonare “un così folle proposito”. La governante trova Sansone nel cortile della sua casa e gli racconta i suoi timori. L’uomo le dice di tornare a casa di don Chisciotte e di preparare qualcosa di caldo per pranzo, mentre lui andrà più tardi a risolvere la questione. Quando la governante va via, il baccelliere esce per cercare il prete.
Nel frattempo, a casa di don Chisciotte quest’ultimo e Sancio discutono dell’imminente terza partenza. Sancio spiega di averne già parlato con la moglie. Don Chisciotte chiede cosa abbia detto Teresa e Sancio gli dice che lei gli ha consigliato di fare un buon affare, cioè di farsi pagare bene, per i servizi che renderà a don Chisciotte. A questo punto, don Chisciotte fa intendere a Sancio che non può assicurargli alcun pagamento specifico e che, se deciderà di andare con lui, dovrà farlo per la pura aspettativa di ciò che potranno trovare nelle avventure; altrimenti, non gli mancheranno scudieri più obbedienti e, sicuramente, meno loquaci di Sancio. Di fronte a questa posizione del suo padrone, Sancio Panza “sentì cascar le braccia”. In quel momento appare Sansone Carrasco, accompagnato dalla nipote e dalla governante di don Chisciotte. Lungi dal convincerlo a non intraprendere una terza partenza, Sansone abbraccia don Chisciotte, chiamandolo “fiore della errante cavalleria” e maledice coloro che vogliono impedirgli di partire alla ricerca di nuove avventure. Come se non bastasse, Sansone si offre di essere il suo scudiero, ma, di fronte a questa offerta, Sancio si offre subito di essere nuovamente lo scudiero di don Chisciotte. Don Chisciotte e Sancio Panza fanno pace e si accordano per partire entro tre giorni. Allora, sia la governante che la nipote di don Chisciotte maledicono il baccelliere Sansone per aver incoraggiato e non impedito la terza partenza del suo padrone.
Dopo tre giorni don Chisciotte e Sancio partono per Toboso.
Capitolo 8: Dove si racconta quel che accadde a don Chisciotte mentre andava a trovare la sua signora Dulcinea del Toboso
“Benedetto sia il potente Allah!” esclama Hamete Benengeli all’inizio del capitolo. La ragione di questa benedizione, dice, è che don Chisciotte e Sancio sono già in campagna, così che i lettori del suo racconto possono considerare iniziata questa nuova serie di avventure.
Mentre cavalcano, don Chisciotte ribadisce la sua intenzione di andare a Toboso a trovare Dulcinea prima di iniziare qualsiasi nuova avventura. Sancio spiega al suo padrone che l’ultima volta che ha visto Dulcinea, questa stava pulendo il grano, al che don Chisciotte risponde che ciò non è possibile, in quanto Dulcinea è una persona importante e, come tale, non svolge certi compiti. In ogni caso, l’immagine di Dulcinea che lavora il grano e che compare nel libro delle sue imprese deve essere opera di qualche “maligno incantatore” invidioso delle cose di don Chisciotte. Il cavaliere errante riflette poi sui diversi casi in cui i personaggi storici hanno privilegiato la fama rispetto a tutto il resto. A questo punto, dice a Sancio che questa fama è effimera, mentre la gloria che i cristiani, i cattolici e i cavalieri erranti perseguono è eterna. Sancio contesta questa idea, sostenendo che tutto dipende da quale sia il fondamento di questa fama, e fa poi notare a don Chisciotte che, se il suo intento è quello di raggiungere la gloria del paradiso, questo è molto più popolato da frati che da cavalieri erranti. Don Chisciotte accetta questa osservazione, anche se gli è chiaro che la strada attraverso la quale Dio vuole condurlo in cielo è un’altra: “[…] ordine religioso è pur la cavalleria, cavalieri santi son pur in paradiso”.
Il giorno dopo don Chisciotte e Sancio arrivano a Toboso.
Capitolo 9: Nel quale si racconta ciò che in esso si vedrà
Don Chisciotte e Sancio entrano a Toboso a mezzanotte. Tutti dormono in città e don Chisciotte chiede al suo scudiero di portarlo al “palazzo” di Dulcinea, allora Sancio risponde che l’ultima volta che l’ha vista era in una piccola casa che non aveva niente di simile a un palazzo. Don Chisciotte guida Sancio verso quello che crede essere il palazzo di Dulcinea, ma alla fine si tratta della chiesa del paese. A questo punto, Sancio spiega che la casa di Dulcinea si trova in una strada senza uscita e don Chisciotte confessa di non aver mai visto Dulcinea e ammette di esserne innamorato “solo per sentita dire e per la tanta fama che ella ha di bella e di saggia”. Sancio, da parte sua, confessa che, in realtà, nemmeno lui ha mai visto Dulcinea, ma il suo padrone non gli crede.
In quel momento appare un contadino che cammina con i suoi due muli. Don Chisciotte gli chiede se sa dove si trovi il palazzo della principessa Dulcinea, e il contadino risponde che è nuovo in città, ma che, per quanto ne sappia, nessuna principessa vive a Toboso. Il contadino allora se ne va per la sua strada e don Chisciotte decide di riposare nel bosco mentre Sancio cerca Dulcinea per annunciarle la sua presenza.
Capitolo 10: Nel quale si narra l’astuzia che Sancio usò per incantare la signora Dulcinea, nonché di altri avvenimenti ridevoli quanto veri
Sancio va alla ricerca di Dulcinea per chiederle di dare a don Chisciotte la sua benedizione, ma quando si allontana dal suo padrone e si accorge che quest’ultimo non lo segue, si ferma e inizia a parlare da solo. In questo soliloquio, immagina cosa potrebbe accadere se rientrasse a Toboso e si rende conto che, se Dulcinea è davvero una principessa, gli uomini del paese potrebbero volerlo picchiare a sangue per aver disturbato le loro donne. In seguito a questa conclusione, Sancio decide di non andare a Toboso e di rimanere lì il tempo sufficiente perché don Chisciotte pensi che se ne sia andato. Trascorso questo tempo, Sancio riparte alla ricerca del suo padrone e proprio in quel momento vede tre contadine uscire da Toboso. Torna allora di corsa da don Chisciotte e gli annuncia che Dulcinea sta andando da lui con due fanciulle.
Insieme vanno incontro alle donne, ma quando le vedono, don Chisciotte non vede tre fanciulle, ma tre contadine in sella a tre asini. Sancio insiste più volte che il suo padrone sta guardando dalla parte sbagliata. Allora scende dall'asino, si inginocchia davanti a una di loro e, dopo averla lodata, si presenta e fa lo stesso con don Chisciotte. La ragazza gli chiede di lasciarle passare, perché hanno fretta, ma Sancio insiste e le altre due contadine si lamentano perché l’uomo si prende gioco dei poveri abitanti del villaggio. Alla fine è don Chisciotte a chiedere a Sancio di alzarsi e di lasciare in pace le ragazze. Egli incolpa un malvagio incantatore di avergli offuscato la vista e di avergli fatto vedere la più bella delle fanciulle, Dulcinea del Toboso, come una povera contadina. Sancio allora si fa da parte e le lascia passare. Don Chisciotte si lamenta di nuovo che l’incantatore non gli ha permesso di vedere Dulcinea e Sancio maledice la sfortuna del suo padrone. Poi, padrone e scudiero proseguono sulla strada per Saragozza.
Capitolo 11: Della strana avventura capitata al valoroso don Chisciotte col carro o carretta del «Carteggio della morte»
Don Chisciotte è triste perché ritiene di essere responsabile del cambiamento di aspetto di Dulcinea, poiché probabilmente è stato un malvagio incantatore a darle la figura di un umile contadina al solo scopo di coprire la sua bellezza agli occhi di don Chisciotte. Sancio lo esorta a lasciare da parte la tristezza e a proseguire il cammino verso l’avventura. In quel momento, appare sulla strada un carro con personaggi molto strani: un brutto demone, la Morte, Cupido, e un cavaliere armato di tutto punto. Di fronte a questa scena sconcertante, don Chisciotte chiede di sapere chi siano. Il carrozziere (il brutto demone) gli dice che appartengono tutti alla compagnia di Angelo il Cattivo e che sono appena arrivati dalla rappresentazione della commedia Careteggio della morte. Quando don Chisciotte li saluta, augurando loro buona fortuna per la prossima festa, appare un uomo vestito da giullare, che brandisce un bastone come se fosse una spada davanti a don Chisciotte, provocando il panico di Ronzinante, che scappa e, infine, fa cadere il suo cavaliere. Sancio vuole andare ad aiutare il suo padrone, ma il demone gli ruba l’asino.
Quando don Chisciotte viene a sapere del furto, promette una punizione per il demone, ma Sancio lo rassicura quando capisce che anche il ladro è caduto dall’asino e ora l’animale sta tornando dal suo padrone. Nonostante ciò, don Chisciotte rimane convinto di voler punire la compagnia. Quelli, quando si rendono conto delle intenzioni del cavaliere errante, si caricano di pietre e lo aspettano. Don Chisciotte se ne accorge e si ferma, cercando di pensare a un modo per attaccarli senza farsi male. Tuttavia, Sancio lo convince a non punirli, affermando che sotto quei travestimenti ci sono solo persone comuni, indegne di essere punite da un cavaliere errante. Don Chisciotte è d'accordo con il suo scudiero ed entrambi partono alla ricerca di “migliori e più degne avventure”.
Analisi
Nel capitolo 6, don Chisciotte giustifica ancora una volta l’importanza della cavalleria errante facendo riferimento al fatto che questa pratica lo condurrà sulla via della virtù. La conversazione che egli intrattiene con la governante e la nipote su questo argomento è molto ampia e ricca, e le donne cercano di convincerlo con argomenti strettamente razionali a non intraprendere una nuova avventura cavalleresca. Sebbene don Chisciotte sia molto più consapevole e concentrato rispetto alla prima parte, è ancora un uomo alienato dai libri di cavalleria e, come tale, immune a qualsiasi ragionamento che metta in discussione la validità del mestiere di cavaliere errante.
“Ci sono due vie, figliole, per cui gli uomini possono mettersi per giungere ad essere ricchi e onorati: l’una è quella delle lettere, l’altra delle armi. Io son più fatto per le armi che per le lettere, e, data questa mia tendenza alle armi, dovetti nascere sotto l’influsso del pianeta Marte; cosicché quasi di necessità io seguo la sua via, e per essa io debbo procedere, a dispetto di tutto il mondo. Inutilmente quindi voi vi stancherete a persuadermi di non volere io quel che il cielo vuole, che la sorte dispone, che la ragione richiede e, soprattutto, la mia volontà desidera, perché, pur sapendo, come in realtà so, gl’innumerevoli affanni che sono annessi alla cavalleria errante, so anche gl’infiniti beni che conessa si conseguono; come so che il sentiero della virtù è stretto molto, mentre larga e aperta è la strada del vizio. Così pure so che la meta e punto d’arrivo dell’uno e dell’altra sono diversi, poiché alla fine della via ampia e spaziosa del vizio, c’è la morte, in fondo invece al sentiero della virtù, angusto e difficile, c’è la vita; e non la vita che passa ma quella che non avrà mai fine.”
Più tardi, nel capitolo 7, Sancio cerca di stabilire le condizioni del suo lavoro di scudiero in questa nuova uscita. Don Chisciotte, insolitamente cauto, gli dice che non può promettergli alcuna paga. Sancio è senza speranza e solo quando appare il baccelliere Sansone Carrasco, che si offre come scudiero di don Chisciotte, decide di non abbandonare il suo posto e di intraprendere con il suo padrone una nuova avventura. A tal proposito, è bene chiarire che il baccelliere Sansone Carrasco è uno dei personaggi più importanti di questa seconda parte, poiché ogni volta che appare nella storia propone una svolta. In questo capitolo, per esempio, incoraggia don Chisciotte a partire in cerca di nuove avventure e lo chiama “fiore della errante cavalleria”, questo, a sua volta, porta a un abbraccio di riconciliazione tra Sancio e il suo padrone, e alla promessa che partiranno dopo tre giorni. In qualche modo, il baccelliere favorisce l’inizio dell’avventura di don Chisciotte. È anche il baccelliere Carrasco che, in seguito, svolgerà il ruolo di Cavaliere degli Specchi e di Cavaliere della Bianca Luna, due nemici con cui don Chisciotte si confronta e che saranno decisivi per il proseguimento e la conclusione delle sue avventure.
La partenza tranquilla di don Chisciotte in questa seconda parte è paradigmatica dell’accettazione universale della sua follia. Ora, cosa si intende per “partenza tranquilla”? In linea di massima, il breve tempo necessario a concretizzarla e i pochi preparativi che lui e il suo scudiero devono fare per partire. Se si confronta questa terza e ultima partenza con le due precedenti, cioè con le due partenze che avvengono nella prima parte del romanzo, è evidente che questa partenza è molto più pragmatica e semplice delle altre. In questo senso, è chiaro che Cervantes, in questa seconda parte del Don Chisciotte, non ha più bisogno di dare consistenza di plausibilità alla follia del suo personaggio. Questo lavoro è già stato fatto nella prima parte e quindi, qui, l’autore può essere più spedito e passare direttamente alle avventure di un don Chisciotte che tutti i lettori dell’epoca sapevano già essere pazzo.
Allo stesso modo, come suggerisce il critico Julio Rodríguez-Luis, è evidente che Cervantes ha in questa seconda parte un piano abbastanza concreto su ciò che don Chisciotte farà d’ora in poi. In gran parte, questo piano nasce dalla popolarità della prima parte. Cervantes ascolta attentamente sia le lodi che le critiche, e in questa seconda parte intende esaltare le virtù e correggere alcuni difetti della prima.
Nel capitolo 8, don Chisciotte e Sancio si dirigono verso Toboso e iniziano a riflettere sul concetto di “fama”. Entrambi concordano sul fatto che si ottiene maggiore fama come santo che come cavaliere errante, anche se don Chisciotte è consapevole che essere frate non è per tutti. A questo proposito, i critici concordano sul fatto che Cervantes cerca di far capire che, sebbene il suo Don Chisciotte sia una parodia (dei libri di cavalleria o anche della prima parte della sua stessa opera), il tema della religione è su un piano molto diverso e non è suscettibile di caricatura.
Quando don Chisciotte e Sancio entrano a Toboso, non trovano nessuno, a causa dell'ora. Lo scudiero propone di riposare alla periferia del paese e promette di cercare Dulcinea quando sorgerà l’alba. Questo accade nel capitolo X, e secondo le parole di Federico Jeanmaire, scrittore argentino e specialista del testo di Cervantes, “Il meraviglioso capitolo X. Forse il più importante per capire alcune delle cose che Cervantes si propone di fare nel Secondo Don Chisciotte. O il più importante, in assoluto”.
Sancio si mette quindi alla ricerca di Dulcinea, ma ben presto riflette sull’impossibilità di portare a termine la sua promessa. Non gli resta che inventare Dulcinea partendo da una passante a caso, diventando lui stesso una sorta di “incantatore”. In questo modo, lo scudiero crea questa fantasia, che poi deve far credere a don Chisciotte stesso. E così fa. La questione più interessante sollevata da questo capitolo è l’alterazione della logica che spinge don Chisciotte a credersi un cavaliere errante. Mentre nella prima parte era la sua stessa distorsione della realtà a spingerlo a cercare avventure, in questa seconda parte saranno i personaggi che lo circondano, come ha appena fatto Sancio, a cercare di fargli credere di vivere dentro un libro di cavalleria. In un certo senso, si può dire che i personaggi che orbitano intorno a don Chisciotte in questa seconda parte siano complici, se non addirittura propulsori, della sua follia e, in diverse occasioni, la sfruttano a loro vantaggio. Sancio cerca di far credere al suo padrone che la contadina sia Dulcinea in persona, e don Chisciotte, da parte sua, sceglie di credere che sia proprio la sua Dulcinea, e che sia lui a non vederla perché qualche incantatore gli ha offuscato la vista o ha cambiato la figura della sua amata in quella di una semplice contadina. Tuttavia, né Sancio in questo capitolo né gli altri personaggi in seguito sembrano preoccuparsi molto dell’impatto su don Chisciotte delle bugie che stimolano la sua ossessione per i libri di cavalleria.
Inoltre, la nuova immagine di Sancio in questa seconda parte è quella di un personaggio consapevole delle proprie motivazioni e del potere della propria intelligenza, soprattutto in termini di controllo del padrone. Lo scudiero ipotizza che il suo padrone molto probabilmente reagirà secondo lo schema delle avventure che ricorda, cioè quelle della prima parte. Tuttavia, anche don Chisciotte è cambiato tra la prima e la seconda parte. Mentre prima trasformava ciò che vedeva, ad esempio i mulini a vento in giganti, ora vede la realtà così com'è. Così, se qualcosa sembra soprannaturale, è perché viene presentato come tale o perché viene manipolato per apparire tale. Questa diminuzione del potere immaginativo di don Chisciotte esprime, in una certa misura, l’esaurimento della risorsa più caratteristica dell’opera, così presente nella prima parte.
Già nel capitolo 11 don Chisciotte si aggira su Ronzinante, addolorato per la beffa che, in teoria, gli incantatori gli hanno fatto. Invece, Sancio cerca di dissuadere il suo padrone dal deprimersi per questo, anche se, ovviamente, non può insistere troppo su questo punto, perché correrebbe il rischio che don Chisciotte sospetti della sua bugia. Allo stesso modo, già nei primi capitoli, Sansone Carrasco ha detto che alcuni lettori hanno criticato la violenza della prima parte del Don Chisciotte. Proprio perché questa seconda parte del Don Chisciotte è un libro diverso, più maturo, meno veemente rispetto al testo del 1605, molti atteggiamenti dei personaggi riflettono questa evoluzione. Si consideri la carrellata di attori vestiti da demoni e angeli che don Chisciotte e Sancio incontrano. Risulta chiaro che lo stesso incontro in una qualsiasi pagina della prima parte sarebbe finito in modo molto diverso. In questa seconda parte, don Chisciotte è quasi una versione migliorata, persino corretta, di sé stesso. Ha già combattuto contro i mulini a vento, ha già subito gravi ferite, ha già perso più volte il contatto con Dulcinea. Quindi, in una certa misura, è logico che, pur conservando la sua ossessione per la cavalleria errante, sia diventato un “pazzo” più cauto. In questo senso, quando decide di combattere il demone che ha rubato l’asino di Sancio e vede che gli attori li aspettano con le pietre, si lascia convincere dal suo scudiero che non vale la pena di combattere, poiché gli uomini mascherati non appartengono all’ordine cavalleresco e sarebbe disonorevole farlo.