Don Chisciotte della Mancia (parte 2)

Don Chisciotte della Mancia (parte 2) Riassunto e analisi di di Don Chisciotte della Mancia (Seconda Parte) - Capitolo 12 - 17

Riassunto

Capitolo 12: Della singolare avventura che capitò al prode don Chisciotte con il Cavaliere degli Specchi

La sera dopo l’incontro di don Chisciotte con il demone, la Morte e il resto della compagnia teatrale, lui e Sancio si siedono sotto alcuni alberi per cenare e parlare. Don Chisciotte riflette sulla commedia e suggerisce a Sancio di apprezzarla sempre, perché sia chi la recita che chi la compone sono “mezzi che contribuiscono a procurare gran bene alla repubblica, come quelli che ad ogni passo ci mettono dinanzi uno specchio dove si vedono nettamente le azioni della vita umana”. Allo stesso tempo, osserva che, alla fine della vita, la morte toglie agli uomini gli “abiti” che li differenziano, e nella tomba sono tutti uguali.

Il padrone e lo scudiero si addormentano ma, all’improvviso, don Chisciotte sente arrivare due uomini a cavallo, e uno dice all'altro che quello è un buon posto per riposare, perché c’è erba per i cavalli. Don Chisciotte deduce che almeno uno dei due sia un cavaliere errante e sveglia Sancio dicendogli che hanno già una nuova avventura. In quel momento, il cavaliere appena arrivato, il Cavaliere del Bosco, inizia a suonare il suo liuto e a cantare un sonetto. Dopo aver concluso il sonetto, racconta come tutti i cavalieri della Mancia abbiano lodato la bellezza della sua amata, Casildea di Vandalia, su sua richiesta. Don Chisciotte si indigna, perché non direbbe mai nulla di così negativo sulla bellezza della sua Dulcinea. Il Cavaliere del Bosco nota don Chisciotte e il suo scudiero e li invita a sedersi con lui. Chiede al cavaliere errante se anche lui è innamorato, e don Chisciotte risponde di esserlo. Sancio appoggia la risposta del suo padrone, ma il Cavaliere del Bosco si offende, perché uno scudiero non dovrebbe aprire bocca quando due cavalieri erranti stanno parlando. Allora lo scudiero di quello dal Bosco porta Sancio altrove perché possano parlare “scudierescamente”.

Capitolo 13: Dove si continua l’avventura del Cavaliere del Bosco, con l’assennata, originale e pacifica conversazione che avvenne fra i due scudieri

Sancio e lo scudiero del Cavaliere del Bosco si raccontano le loro vite mentre i loro padroni, poco distanti da loro, si raccontano i loro amori. I primi discutono sulle difficoltà della vita dello scudiero e ciascuno spiega le proprie ambizioni, Sancio vuole ricevere un’isola per i suoi servigi e lo scudiero del Cavaliere del Bosco vuole diventare un canonico. Quest’ultimo confessa poi di voler lasciare queste “ubriacature di codesti cavalieri” per tornare al suo villaggio, dalla moglie e dai figli. Sancio, dal canto suo, parla di sua figlia, che sta crescendo per diventare contessa, quando dopo essere riuscito a diventare governatore di un’isola e riuscirà a farla sposare con un nobile. Lo scudiero del Cavaliere del Bosco elogia la figlia di Sancio con espressioni molto volgari, il che spinge lo scudiero di don Chisciotte a rimproverarlo.

Poi gli scudieri iniziano a confrontare i loro padroni: Sancio si riferisce a don Chisciotte come “mentecatto” e l’altro dice che il suo padrone è “matto, ma prode […], e più briccone che matto e prode”. In risposta a ciò, Sancio si affretta a dire che don Chisciotte, a differenza del Cavaliere del Bosco, “non sa far male a nessuno”. Poi lo scudiero del Cavaliere del Bosco si allontana per qualche istante e torna con una botte di vino e qualcosa da mangiare, e Sancio si sorprende per la qualità dei prodotti. Dopo aver bevuto per un po', lo scudiero del Cavaliere del Bosco insiste sull’idea di lasciare quei pazzi dei loro padroni e di tornare ai loro villaggi dalle loro famiglie, ma Sancio dice che accompagnerà don Chisciotte a Saragozza e che, una volta lì, ne parlerà con il suo padrone.

Capitolo 14: Dove si continua l’avventura del Cavaliere del Bosco

Il Cavaliere del Bosco spiega a don Chisciotte che la sua amata, Casildea di Vandalia, gli ha chiesto di andare in giro per la Spagna a dire ai cavalieri erranti che lei “sola sovrasta inbellezza quante son oggi dame al mondo”. Aggiunge poi di aver sconfitto tutti i cavalieri erranti e spiega la sua massima: poiché si dice che don Chisciotte abbia sconfitto tutti i cavalieri e lui, con ciò che dichiara, ha sconfitto don Chisciotte, allora, per carattere transitivo, è come se il Cavaliere del Bosco stesso avesse sconfitto tutti quei cavalieri. Don Chisciotte, da parte sua, non mette in dubbio la sua impresa di aver sconfitto tutti i cavalieri, anche se dubita di aver sconfitto questo Don Chisciotte della Mancia. Il Cavaliere del Bosco fa una descrizione fisica molto dettagliata del Cavaliere dalla Triste Figura, allora, l’altro confessa di essere proprio lui il don Chisciotte di cui parla, e si alza e brandisce la spada. Allora, il primo chiede a don Chisciotte di aspettare la luce del giorno per affrontarsi, perché farlo al buio sarebbe da briganti e ruffiani, e il suo avversario è d'accordo.

I due cavalieri vanno quindi a svegliare i loro scudieri affinché preparino tutto per il combattimento del giorno dopo. Sancio teme per la salute del suo padrone perché ha sentito parlare delle imprese del Cavaliere del Bosco dal suo scudiero. Al di là di questa preoccupazione, mentre vanno a preparare i cavalli, lo scudiero del Cavaliere del Bosco dice a Sancio che, quando i loro padroni combattono, anche loro devono combattere, come è usanza in Andalusia, la regione da cui proviene il suo padrone. Sancio adduce una serie di argomenti per evitare il litigio con l’altro scudiero, tra cui, il fatto che non potrebbe litigare con un uomo con cui ha bevuto così pacificamente. Nel frattempo, comincia ad albeggiare.

Don Chisciotte vede che il suo avversario è ormai pronto al combattimento. A questo punto del capitolo, il narratore inizia a chiamare il Cavaliere del Bosco “Cavaliere degli Specchi”. Don Chisciotte e il Cavaliere degli Specchi salgono a cavallo e, prima di iniziare il duello, don Chisciotte ricorda al suo avversario che il cavaliere che perde deve rispondere alla volontà del vincitore. Sancio, che non vuole rimanere da solo con lo scudiero di quello degli Specchi, segue don Chisciotte e gli chiede di aiutarlo a salire su un albero per poter vedere il combattimento meglio che da terra. Ma mentre don Chisciotte lo aiuta a salire, l’altro cavaliere ha già iniziato a correre verso di lui. Allora, don Chisciotte va incontro al suo nemico e lo abbatte. Poi gli si avvicina, gli toglie l'elmo e scopre che il Cavaliere degli Specchi non è altro che il baccelliere Sansone Carrasco. Don Chisciotte attribuisce l’inganno a un incantesimo maligno e chiede a Sancio di andare a vedere “cosa può fare la magia”. Sancio accerta che si tratti del baccelliere e spinge il padrone a immergere la spada nella sua bocca, uccidendo così anche uno dei suoi nemici, gli incantatori. Don Chisciotte sta per affondare la spada nel corpo di Carrasco, quando arriva lo scudiero del Cavaliere degli Specchi e avverte don Chisciotte che l'uomo che ha davanti è proprio il baccelliere Sansone Carrasco, quello vero. Quest’ultimo rinviene e don Chisciotte lo minaccia di morte se non ammette che Dulcinea è più bella di Casildea. Il baccelliere Carrasco lo ammette e, su richiesta del vincitore, confessa anche che colui che aveva sconfitto non era il vero don Chisciotte della Mancia.

Infine, don Chisciotte e Tommaso Cecial, il vicino di casa di Sancio che si è spacciato per lo scudiero del Cavaliere degli Specchi, aiutano il baccelliere Carrasco a rimettersi in piedi e questi ultimi due vanno via. Sancio e don Chisciotte, dal canto loro, proseguono il cammino verso Saragozza, con il fermo sospetto che la somiglianza tra il Cavaliere degli Specchi e il baccelliere Carrasco, e tra il suo scudiero e il vicino di Sancio, Tommaso Cecial, sia opera di qualche incantatore.

Capitolo 15: Dove si narra e si fa sapere chi era il Cavaliere degli Specchi e il suo scudiero

Il narratore inizia il capitolo spiegando perché il baccelliere Sansone Carrasco sia diventato il Cavaliere degli Specchi. A quanto pare, Carrasco aveva elaborato un piano con il barbiere e il prete per cercare di preservare don Chisciotte. Poiché nessuno di loro aveva ritenuto possibile dissuaderlo dall'uscire per la terza volta, i tre avevano concordato che il baccelliere avrebbe dovuto incitarlo ad andare alla ricerca di nuove storie cavalleresche e poi lo avrebbe intercettato, fingendosi il Cavaliere degli Specchi, per rispedirlo a casa sua dopo averlo sconfitto.

Dopo la sconfitta, il baccelliere Carrasco e Tommaso Cecial hanno una conversazione. Quest'ultimo afferma che l’uomo che impazzisce di sua spontanea volontà, come lo stesso Sansone Carrasco nell’escogitare tale piano, o anche lui stesso nell’accettare di essere il suo scudiero, sia più folle dell’uomo che non ha altra scelta, come don Chisciotte, ed esprime la sua intenzione di tornare a casa. Il baccelliere Carrasco gli chiede di farlo, poiché lui invece non tornerà a casa sua finché non avrà “preso a legnate don Chisciotte”. Carrasco non ha più alcun interesse ad aiutare don Chisciotte a ritrovare la sanità mentale, l’unico suo desiderio, ora, è la vendetta. Infine, Cecial e Carrasco arrivano in un villaggio. Lì si separano e il primo torna al suo villaggio, mentre il secondo trova un “cerusico praticone” che lo guarisce.

Capitolo 16: Di quello che avvenne fra il nostro don Chisciotte e un savio cavaliere mancego

Don Chisciotte sta ancora pensando alla vittoria contro il Cavaliere dagli Specchi quando Sancio fa riferimento al fatto che crede ancora che lo scudiero di quest'ultimo sia il suo vicino, Tommaso Cecial. Don Chisciotte lo contraddice con un’argomentazione molto semplice, il baccelliere Sansone Carrasco non ha la motivazione per impersonare il Cavaliere degli Specchi per combatterlo. Per questo motivo, don Chisciotte insiste che il nemico e il suo scudiero assomigliano al baccelliere e a Cecial per opera di malvagi incantatori che lo inseguono. In quel momento, vengono sorpresi da un uomo ben vestito e in groppa a una bella cavalla. Don Chisciotte lo invita a cavalcare con loro, e dopo qualche istante, nota che l'uomo sulla cavalla lo guarda con un certo stupore. In seguito, don Chisciotte si presenta: “[…] sono don Chisciotte della Mancia, per altro nome chiamato Cavaliere dalla Triste Figura”. L’uomo, dal canto suo, si presenta come Diego de Miranda e afferma di essere piuttosto ricco. Don Chisciotte gli chiede se abbia figli e don Diego gli risponde che ha un figlio di diciotto anni, amante della poesia. Sentendo ciò, don Chisciotte consiglia a don Diego di lasciare che il figlio segua la strada della poesia, poiché, tra l’altro, “[…] la penna è la lingua dell'anima”.

Sulla stessa strada che stanno percorrendo, appare in lontananza un carro con bandiere reali e don Chisciotte chiama Sancio convinto che si tratti di una nuova avventura.

Capitolo 17: In cui si dimostra a quale altissimo segno e punto estremo giunse e poté giungere il coraggio inaudito di don Chisciotte, nonché dell’avventura dei leoni felicemente compiuta

Sancio sta comprando della ricotta quando sente il richiamo di don Chisciotte, e nella fretta, la ripone nella celata del suo padrone, correndo a vedere di cosa abbia bisogno. “Dammi, caro, cotesta celata; perché, o io m’intendo poco di avventure o quel che là discerno dev’essere una che mi costringerà, anzi mi costringe a prender le armi”, gli ordina don Chisciotte. Don Diego de Miranda (che il narratore in questo capitolo identifica come “quel dal Verde Gabbano”) osserva il carro a cui don Chisciotte si riferisce e gli spiega che si tratta semplicemente di una carrozza con un carico di beni reali. Ma don Chisciotte ignora l’avvertimento datogli da quel dal Verde Gabbano e indossa la celata che Sancio gli ha appena dato. Subito dopo, il siero della ricotta comincia a colargli sul viso e sulla barba. Don Chisciotte accusa Sancio di essere un traditore per aver messo la ricotta nella celata, ma il suo scudiero si difende dicendo che non è stato lui ma il diavolo a metterla lì.

Il carro arriva finalmente dove sono loro e don Chisciotte chiede al carrettiere cosa stia trasportando e questi risponde che sta portando due grossi leoni per Sua Maestà. Per dimostrare il suo coraggio, don Chisciotte chiede al guardiano dei leoni di tirararli fuori dalla gabbia. Quando l'uomo si rifiuta, don Chisciotte lo minaccia con la sua lancia. Allora il guardiano apre la gabbia del leone, ma l’animale, invece di attaccare don Chisciotte, si guarda attorno con una certa indifferenza, sbadiglia e si sdraia di nuovo, voltando le spalle al cavaliere. Quest’ultimo chiede al guardiano di colpirlo per farlo reagire, ma questi si rifiuta, aggiungendo poi che il leone ha già avuto l'occasione di uscire e attaccarlo, e se non l'ha fatto è probabilmente per la grandezza del cuore di don Chisciotte. Soddisfatto dal ragionamento del guardiano, il cavaliere errante gli ordina di chiudere la gabbia e chiama Sancio, che è rimasto a prudente distanza dai leoni. Il guardiano, allora, dichiara che racconterà la storia al re, ma invece di riferirsi a don Chisciotte come “Cavaliere dalla triste figura”, lo farà con il nuovo titolo di “Cavaliere dai leoni”.

Poi il carro prosegue per la sua strada e don Chisciotte, Sancio e l’uomo dal Verde Gabbano proseguono per la loro. A questo punto, don Diego de Miranda non riesce ancora a decidere se don Chisciotte sia completamente pazzo o meno. Proprio mentre sta pensando a questo, don Chisciotte gli dice che capisce che lo ritiene pazzo, poiché le sue azioni danno quest’impressione. Allo stesso tempo, giustifica il suo attacco ai leoni affermando che sia suo dovere di cavaliere perseguire qualsiasi avventura che contribuisca alla sua reputazione di cavaliere coraggioso. Don Diego accetta che le sue argomentazioni siano, in una certa misura, ragionevoli e gli chiede di affrettarsi a raggiungere il suo villaggio, poiché si sta facendo tardi, e quindi i tre si rimettono in cammino.

Analisi

Nel capitolo 12, nel colloquio con Sancio, don Chisciotte offre una riflessione sulla commedia da intendere come una chiave di lettura per le pagine successive. Il cavaliere dice al suo scudiero che deve sempre apprezzare la commedia perché fa un gran bene e fa da specchio alle persone in ogni occasione. A tal proposito, Sancio ha appena recitato l’“incantesimo” di Dulcinea un paio di capitoli prima, e in un certo senso, è diventato un attore e ha proposto una scena comica. Da qui in poi molti personaggi faranno lo stesso con don Chisciotte, ovvero si travestiranno, reciteranno e proporranno situazioni fittizie. Offrendo questa riflessione a Sancio, don Chisciotte sembra essere in pace con essa.

D'altra parte, verso la fine di questo discorso, sulla bocca del cavaliere errante compare uno dei più diffusi cliché letterari medievali, ovvero quello della morte come livellatrice. Quando don Chisciotte parla degli “abiti” che differenziano le persone e che la morte toglie, si riferisce fondamentalmente allo status sociale. In altre parole, la morte è la grande livellatrice delle differenze sociali, e in quella tomba a cui don Chisciotte si riferisce, tutti sono uguali: i ricchi, i poveri, i re, i cavalieri erranti, le fanciulle e i ladri. Questo cliché letterario medievale proponeva un’idea in un certo senso confortante, soprattutto per gli appartenenti alle classi più disagiate dell’epoca.

Appare poi il Cavaliere del Bosco, che afferma di aver sconfitto tutti i cavalieri della Mancia per far loro confessare che la sua amata, Casildea di Vandalia, fosse la più bella. Questa bugia di quel del Bosco sembra studiata appositamente per offendere don Chisciotte. La sfida e il successivo combattimento con questo cavaliere sconosciuto, azione frequente nei libri di cavalleria, è un motivo parodico utilizzato da Cervantes per rivitalizzare il suo eroe dopo il colpo dell’incantesimo della sua amata, Dulcinea. Questa situazione viene presentata come una soluzione escogitata dal baccelliere Sansone Carrasco e dai suoi amici per aiutare don Chisciotte, facendogli affrontare la sua fantasia e costringendolo a tornare al suo villaggio. Tuttavia, questa idea non si concretizza con il successo sperato.

Nel capitolo 13 si svolge la conversazione tra Sancio e lo scudiero del Cavaliere del Bosco, accompagnata da buon vino e buon cibo, prelibatezze che, per inciso, non erano affatto abbondanti durante le avventure di don Chisciotte e del suo scudiero nella prima parte. Nel capitolo 14, il Cavaliere del Bosco (che in seguito cambierà nome in Cavaliere degli Specchi) racconta le sue imprese e, tra queste, la più importante, cioè che ha sconfitto don Chisciotte stesso e gli ha fatto confessare che la sua Casildea fosse più bella di Dulcinea. Naturalmente don Chisciotte non può tollerarlo e lo sfida a combattere. Quando arriva il momento del combattimento, il Cavaliere del Bosco viene chiamato dal narratore Cavaliere degli Specchi. Il combattimento, d'altra parte, si risolve in modo rapido e semplice, senza sangue né eccessiva crudeltà, il cavallo del Cavaliere degli Specchi viene fermato e don Chisciotte trova il suo nemico distratto e lo colpisce. In questo senso, questa seconda parte sembra aver metabolizzato le critiche mosse alla prima per l’inutile violenza che il testo emanava.

Dopo aver sconfitto il suo avversario, don Chisciotte si avvicina al Cavaliere degli Specchi, gli toglie la visiera e trova, sia lui che i lettori, il volto del baccelliere Sansone Carrasco. Quando si apprende che il Cavaliere degli Specchi (e il Cavaliere del Bosco) è il baccelliere Carrasco, ciò che prima sfiora l’implausibile (quella precisione chirurgica nel toccare i punti più sensibili di don Chisciotte nel capitolo XIV, per esempio) ora si spiega. In ogni caso, questa scoperta non ha lo stesso effetto su don Chisciotte che, lungi dall’accettare che il suo vicino gli abbia solo giocato un brutto scherzo, il Cavaliere dalla Triste Figura sceglie di negare la realtà, basandosi sull’idea che, ancora una volta, gli incantatori gli stiano giocando un brutto scherzo e abbiano dato al Cavaliere degli Specchi il volto del suo amico Sansone Carrasco. Tommaso Cecial, l’amico e compagno di Sancio che ha finto di essere lo scudiero del Cavaliere degli Specchi, confessa loro apertamente tutta la verità e anche allora don Chisciotte e Sancio non smetteranno di credere che sia tutta opera degli incantatori. Dopodiché, padrone e scudiero proseguono il loro viaggio verso Saragozza, lasciando Sansone Carrasco sconfitto, addolorato, ma, soprattutto, disonorato. Questo aspetto diventerà rilevante più avanti, quando diventerà il Cavaliere della Bianca Luna. Per il momento, si può solo dire che sia a dir poco ironico che il disonore di una sconfitta contro don Chisciotte venga preso così sul serio, soprattutto se si tiene presente che è stato lo stesso Carrasco a proporre questa situazione praticamente fittizia.

Per quanto riguarda i nomi cavallereschi che Sansone Carrasco si dà, è opportuno sottolineare a cosa corrispondano. In linea di principio, quello di Cavaliere del Bosco non ha alcuna spiegazione se non il fatto che in quel momento si trovi in un bosco. Tuttavia, quando cambia gratuitamente il suo nome in Cavaliere degli Specchi, c’è una strizzata d’occhio a quale sia la sua intenzione di vestirsi da cavaliere e sfidare don Chisciotte. Il confronto speculare tra la sua figura e quella del nobile fa parte del piano che il baccelliere mette in atto per cercare di arginare la follia di don Chisciotte. Per farlo, ricorre a quel principio medico stabilito da Ippocrate chiamato similia similibus o principio di somiglianza, attraverso il quale, giustamente, si cerca di curare qualcosa con altro di simile. In questo senso, è chiaro che il soprannome “degli specchi” cerchi di stabilire una relazione diretta con le intenzioni di Carrasco di sconfiggere don Chisciotte nel territorio della sua stessa follia e quindi di farlo tornare al villaggio.

Va notato, tuttavia, che più importante della vittoria stessa di don Chisciotte è ciò che l’incontro e il combattimento rappresentino per lui come momento di riflessione. Lo suggerisce il nome stesso del suo nemico, il Cavaliere degli Specchi, e il modo in cui si sia presentato, cioè come un cavaliere che ha sconfitto un certo don Chisciotte. Di fronte a questa scoperta, don Chisciotte stesso si sente obbligato sia a confrontarsi con l’esistenza di questo “altro” sia a riflettere sulla propria esistenza, che sente il bisogno di riaffermare come autentica attraverso il combattimento. In questo senso, è agghiacciante ciò che dice appena ha sconfitto il Cavaliere degli Specchi: "Dovete sapere che cotesto don Chisciotte che voi dite è il miglior amico ch’io m’abbia al mondo; tanto amico anzi che potrei dire di ritenerlo per un altro me stesso".

D’altra parte, forse è il caso di sollevare una questione di estrema importanza in relazione all’analisi di questa seconda parte del Don Chisciotte, ovvero il posto che occupa Sancio Panza. Sancio è diventato il personaggio che incarna tutte le trasformazioni che avvengono nel testo. In primo luogo, ha “incantato” Dulcinea, diventando un “attore” e anticipando un compito che diversi personaggi svolgeranno successivamente, non ultimo lo stesso Sansone Carrasco in questi capitoli. In secondo luogo, e parallelamente, lo scudiero ha perso anche il rapporto con la realtà, quella che nel primo libro faceva da cornice alla fantasia di don Chisciotte. In altre parole, Sancio ha perso interesse nel contrastare le fantasie del suo padrone con la verità che le circonda. Ed è su questa mancanza di interesse per la realtà che si basa la sua nuova funzione all’interno della storia. Più che un personaggio, è un attore, che rappresenta, in ogni momento e senza dubbio, ciò che il testo ha bisogno che rappresenti.

Il capitolo 15 è uno dei più brevi di questa seconda parte. Spiega che il baccelliere Sansone Carrasco aveva, in precedenza, ordito un piano con il prete e il barbiere per aiutare don Chisciotte, e per questo ha finto di essere il Cavaliere dagli Specchi. Dopo essere tornato al villaggio, Carrasco sembra dimenticare la sua vocazione ad aiutare don Chisciotte e pensa solo a vendicarsi di lui. A questo proposito, Tommaso Cecial offre una riflessione abbastanza coerente sulla questione: “Don Chisciotte matto, noi savi, ma intanto lui se ne va sano e ridendo; vossignoria è pesto e contristato. Vediamo un po', ora dunque: chi è più matto? colui che è tale perché deve essere così, o colui che è tale perché così vuole lui”.

Allo stesso modo, in questa seconda parte i capitoli sono molto più brevi rispetto alla prima. Secondo alcuni critici, ciò ha a che fare con la popolarità del primo libro e con il gran numero di analfabeti che volevano sapere come continuasse la storia dell’ingegnoso hidalgo. Queste persone non avevano altra scelta che ascoltare qualcuno leggere il libro, e la brevità dei capitoli aiutava a mantenere l’attenzione senza perdersi.

Nel capitolo 16, don Chisciotte incontra Diego de Miranda, e quando si presenta, non solo fa riferimento al fatto di essere conosciuto come “Il Cavaliere dalla Triste Figura”, ma parla apertamente del libro in cui compaiono le sue avventure: “per le mie valorose, numerose e cristiane imprese ho meritato di andar già per le stampe fra tutte o quasi tutte le nazioni del mondo. Trentamila volumi sono stati stampati della mia storia ed è ben sulla via di essere stampata trentamila migliaia di volte se il cielo non ci mette riparo”. In questa citazione, si può notare come don Chisciotte utilizzi per la prima volta il libro che lo riguarda come una lettera di presentazione più che positiva. Ciò che non è chiaro è se Cervantes credesse davvero che questa prima parte del Don Chisciotte avesse così tante copie o se abbia usato quel numero come un modo per rimarcare l’esagerazione di don Chisciotte, che evidentemente voleva darsi maggiore importanza di fronte al nobiluomo con il gabbano verde.

D’altra parte, don Diego de Miranda, il Cavaliere dal Verde Gabbano, sembra incarnare un insieme di virtù grazie alle quali ottiene sia il rispetto di don Chisciotte che l'ammirazione di Sancio. In un certo senso, si potrebbe dire che se ci fossero stati più uomini come don Diego, don Chisciotte non avrebbe avuto bisogno di andare in giro per il mondo a ristabilire l'equilibrio morale perso nei secoli passati. E cos’altro ci si potrebbe aspettare da un uomo virtuoso come don Diego de Miranda se non un figlio poeta che, secondo le parole dello stesso don Chisciotte, non dovrebbe sacrificare la sua passione per la poesia perché “la penna è la lingua dell’anima”. A questo proposito, sarebbe ingenuo non interpretare queste parole come un cenno di Cervantes al proprio mestiere.

Nel capitolo 17 Sancio, ancora una volta, ricorre ai malvagi incantatori per sfuggire alle sue responsabilità. Egli ha conservato la ricotta nella celata di don Chisciotte, e quando il suo padrone la indossa per una nuova avventura, il siero comincia a gocciolare, facendo credere al Cavaliere dalla Triste Figura che sia successo qualcosa di grave alla sua testa. In questo contesto, don Diego non riesce a credere che il cavaliere che prima si esprimeva così bene in fatto di poesia sia diventato improvvisamente un pazzo completo.

In questo capitolo compare anche il carro con i due leoni africani. Don Chisciotte chiede al guardiano, in punta di lancia, di aprire le gabbie. Fortunatamente per il Cavaliere dalla Triste Figura, che sta per cambiare il suo soprannome, il leone nella prima gabbia sbadiglia, si gira e si sdraia di nuovo. Quella del leone è una delle poche avventure spontanee di questa seconda parte del Don Chisciotte e vale la pena sottolineare la totale assenza di violenza. L’umorismo, semmai, nasce dalla narrazione di quei dettagli assurdi che costituiscono la risoluzione vittoriosa dell’avventura. Questo secondo libro, come già detto, è molto diverso dal primo, è decisamente un altro, e questo si vede nell’evoluzione di certi meccanismi. Un esempio abbastanza chiaro è che, in questa seconda parte, don Chisciotte non aspetta che sia il saggio che racconta la storia o Sancio ad attribuirgli un soprannome, ma, dopo l’episodio dei leoni, è lo stesso cavaliere errante a ribattezzarsi “Cavaliere dei Leoni”.

Infine, va notato che le prove attraverso cui passano i cavalieri erranti, così come sono concepite da don Chisciotte, sono una forma di espiazione, alla ricerca di una sorta di nobilitazione dell’anima attraverso la quale un cavaliere errante potrebbe essere paragonato alla figura di un santo. Tuttavia, ci sono importanti differenze tra questo capitolo e i modelli di prova cavalleresca che popolano la fantasia di don Chisciotte. In primo luogo, l’avventura si svolge in mezzo alla strada e non nel cuore della foresta; in secondo luogo, le bestie selvagge sono in gabbia e non in libertà; inoltre, l’incontro è presentato come assolutamente non necessario, cioè non c'è alcun pericolo imminente; infine, nessuno invoca i suoi servigi di cavaliere, al contrario, tutti i presenti non fanno altro che invocare la prudenza di don Chisciotte. Così, quella che nella mente di don Chisciotte si presenta come un'avventura mitica si riduce a un episodio, stravagante sì, ma raccontato con verosimiglianza e realismo.