Riassunto
Capitolo 60: Di quel che successe a don Chisciotte nell’andare a Barcellona
Don Chisciotte decide di andare direttamente a Barcellona, senza passare da Saragozza, per farsi beffe di quanto scritto dal falso storico nella seconda parte del Don Chisciotte della Mancia. Il padrone e lo scudiero si fermano per riposare, ma don Chisciotte non riesce a dormire, anche perché è preso da una rabbia incontrollabile per la mancata esecuzione da parte di Sancio delle frustate che porrebbero fine all’incantesimo di Dulcinea. Così don Chisciotte decide di frustare Sancio, ma quando quest’ultimo si sente slacciare la cintura, chiede cosa stia succedendo e il padrone gli risponde che sarà lui a frustarlo per aiutare Dulcinea. Allora Sancio fa uno sgambetto a don Chisciotte, lo fa cadere a terra e gli mette un ginocchio sul petto. Il padrone gli grida che quello che sta facendo è un atto da traditore, e Sancio risponde che lo libererà solo se prometterà di non provare più a frustarlo, cosa che il padrone promette.
Poi don Chisciotte e Sancio trovano alcuni banditi appesi agli alberi e, subito dopo, appaiono più di quaranta banditi, che li circondano. Presto si avvicina il capo, Rocco Guinart, che, dopo aver visto don Chisciotte così triste, gli dice di non affliggersi, perché egli è più compassionevole che assetato di sangue. In quel momento arriva una fanciulla a cavallo, che chiede a Rocco di aiutarla ad arrivare in Francia, poiché è reduce dall’uccisione di don Vincenzo, l’uomo che le aveva promesso di sposarla, ma che aveva finito per sposare un’altra. Allora don Chisciotte si offre di andare a controllare che il cavaliere sia effettivamente morto e di aiutare la bella Claudia.
Rocco e Claudia si recano nel luogo in cui dovrebbe trovarsi il corpo di don Vincenzo, ma trovano solo una macchia di sangue. L’uomo si trova infatti a pochi metri di distanza e, mentre viene trasportato dai suoi servi, chiede di essere lasciato a morire lì. Rocco e Claudia arrivano da lui e lei dice che se non l’avesse tradita, ora non si troverebbe in questa situazione. Lui giura di non averla tradita, che è stato tutto un malinteso, e le chiede di dargli la mano per morire in pace, cosa che avviene immediatamente. Così Claudia decide di andare in un monastero e Rocco va via con la sua banda di banditi. Una volta ritornati, uno dei suoi uomini gli dice che un gruppo di persone sta arrivando lungo la strada e Rocco ordina loro di portare tutte quelle persone da lui. Don Chisciotte e Sancio restano con Rocco, mentre gli altri vanno a rapire le persone che stanno arrivando lungo la strada. Il capo dei briganti dice al cavaliere che deve essere sconvolto dal loro modo di vivere, tuttavia, aggiunge, egli non rinuncia alla speranza di andare in paradiso. Don Chisciotte, da parte sua, comprende le ragioni che gli ha appena esposto e aggiunge che il fatto che sia così consapevole delle sue malefatte sia già un passo importante verso il perdono divino di Rocco.
I banditi tornano con due capitani di fanteria, due giovani sui muli e una carrozza con delle donne con sei servitori. Rocco decide di dividere equamente i beni rubati tra i suoi soldati. In compenso, promette di non rubare più del necessario e di non fare loro del male, cosa che viene accolta con favore sia dai cavalieri che dalla signora , donna Guiomar che viaggia nella carrozza. Infine, Rocco scrive una lettera a un amico di Barcellona in cui gli dice che è con il famoso don Chisciotte della Mancia e che sarà nella città catalana dopo quattro giorni.
Capitolo 61: Di quel che accadde a don Chisciotte nel fare il suo ingresso in Barcellona, come pure di altre cose che hanno più di verità anziché di assennatezza
Don Chisciotte, Sancio, Rocco e sei dei suoi scudieri arrivano a Barcellona di notte, alla vigilia di San Giovanni. Rocco lascia il cavaliere errante sulla spiaggia e parte. Al mattino, don Chisciotte vede scoppiare un fuoco incrociato tra le galee che hanno riempito il mare e i soldati posizionati sulle mura della città. In quel momento, l'uomo a cui Rocco aveva inviato la lettera si avvicina velocemente e dà il benvenuto a don Chisciotte, il vero don Chisciotte, “non falso, non già il fittizio, non già l'apocrifo che in bugiarde storie ci è stato presentato questi giorni, ma il vero, il legittimo e il genuino che Cide Hamete Benengeli, fiore degli storici, ci ha descritto”. Poi l’uomo invita don Chisciotte ad andare con lui e il Cavaliere dai Leoni accetta perché è amico di Rocco.
Capitolo 62: Che tratta dell’avventura della testa incantata, insieme ad altre bazzecole che non si può tralasciare di raccontare
Don Antonio Moreno è il nome dell’amico di Rocco che ospita don Chisciotte e Sancio nella sua casa. Lì tutti trattano don Chisciotte come se fosse un vero cavaliere errante. Durante la cena, il Cavaliere dei Leoni racconta la storia del governo del suo scudiero, davanti agli attenti e sorridenti presenti. Don Moreno, da parte sua, mostra a don Chisciotte una testa di bronzo e gli dice che è stata fatta da un grande stregone e che ha la capacità di rispondere a tutte le domande che gli vengono poste.
Nel tardo pomeriggio, don Moreno porta don Chisciotte a fare un giro per la città su un grande cavallo con un cartello con il suo nome. Molte persone si avvicinano quando lo riconoscono, cosa che stupisce lo stesso Cavaliere dei Leoni. Ma, in quel momento, appare un castigliano che accusa don Chisciotte di essere pazzo e di far impazzire le persone che incontra. Don Moreno chiede a quest’uomo di continuare per la sua strada e dice che sia don Chisciotte che le persone che lo seguono sono sani di mente. La sera, alcune dame vogliono invitare don Chisciotte a ballare, ma lui rifiuta, sostenendo che il suo cuore appartiene alla sola e unica Dulcinea del Toboso.
Il giorno dopo don Moreno invita la moglie, don Chisciotte, Sancio e due amici a porre delle domande alla testa di bronzo. Dopo le domande, con le rispettive risposte, di quasi tutti i presenti, è la volta di don Chisciotte, che cerca di sapere se ciò che ha vissuto nella grotta di Montesinos era reale e se le frustate di Sancho disincanteranno finalmente Dulcinea. La testa di bronzo dice che ciò che è accaduto nella grotta di Montesinos ha un che di reale e un che di fantastico e, quanto al disincanto di Dulcinea, esso avverrà quando le frustate del suo scudiero saranno terminate.
Cide Hamete spiega poi che la testa di bronzo era una farsa, e che don Moreno l’aveva fatta realizzare per prendere in giro gli ignoranti che andavano a casa sua. In questo caso, è un nipote dello stesso don Moreno a impersonare la voce della testa.
Don Chisciotte decide di fare una passeggiata a Barcellona, così lui e Sancio si imbattono in un negozio con un'insegna che recita: “Qui si stampano libri”. Entrano nella tipografia e, dopo aver parlato con alcune persone, don Chisciotte trova un uomo che sta correggendo un libro, gli chiede come si chiami e il correttore risponde: Seconda parte dell'ingegnoso hidalgo Don Chisciotte della Mancia. A questo punto, il Cavaliere dei Leoni critica questa versione apocrifa della sua storia, affermando che le finzioni sono buone e piacevoli solo quando tendono alla verità. Don Chisciotte torna poi a casa di don Moreno, al quale chiede di accompagnarlo a vedere le galee sulla spiaggia.
Capitolo 63: Di come male gliene incolse a Sancio Panza nella visita delle galere, e della strana avventura della bella moresca
Don Chisciotte, Sancio e don Moreno vanno a vedere le galee. In una di esse sono ricevuti da un generale, che tratta don Chisciotte con grande rispetto e ammirazione. In quel momento, scorgono una nave che si avvicina alla costa. Il generale spiega che deve trattarsi di un brigantino dei corsari algerini. Alla galea su cui si trovano don Chisciotte e Sancio se ne aggiungono altre tre e i quattro si lanciano all’inseguimento del brigantino corsaro, che alla fine riescono a catturare. Durante la battaglia, due dei migliori soldati del generale vengono uccisi ed egli decide di impiccare tutti i prigionieri, soprattutto il capo moresco a capo del brigantino. Il viceré arriva alla galea e si congratula con il generale per la caccia. Ma il capo moresco si rivela essere una donna cristiana, che decide di raccontare la sua storia davanti alla folla, ancora stordita dalla scoperta.
La ragazza racconta di aver vissuto in luoghi diversi, separata dai genitori moreschi e poi cresciuta nella fede cattolica dagli zii e dalle zie. Uno di questi luoghi era la Barberia, dove aveva conosciuto don Gregorio, un bellissimo giovane che l’aveva accompagnata nel suo esilio, durante il quale si erano innamorati profondamente. Arrivata ad Algeri, il re aveva chiesto alla ragazza se avesse qualche ricchezza e lei aveva risposto che tutti i suoi gioielli erano sepolti in Spagna. Il re, allora, aveva fatto in modo che lei partisse con un brigantino per la Spagna per dissotterrare i gioielli e portarli ad Algeri. Inoltre, aveva deciso di tenere prigioniero don Gregorio perché “perché fra quei barbari turchi si tiene in più conto e stima un ragazzo o un bel giovane che una donna, per bellissima che sia”. Sebbene la ragazza avesse trovato nell’avidità del re per i suoi gioielli la strategia perfetta per tornare nella natia Spagna, il piano non aveva funzionato come desiderava perché il suo amato era stato fatto prigioniero ad Algeri.
Appena terminato il racconto, tutti i presenti si commuovono per la storia della ragazza. All’improvviso, un anziano pellegrino le si avvicina e afferma di essere Ricote, il suo vero padre. Sancio riconosce il suo vicino, quello che ha incontrato appena lasciato il suo governo, e afferma che è senza dubbio il vero padre della ragazza, Anna Felice. Il generale, naturalmente, risparmia la vita della ragazza e porta Anna Felice e Ricote a casa sua, con il consenso del viceré che, da parte sua, decide di inviare un gruppo di persone in soccorso di don Gregorio.
Capitolo 64: Che tratta dell’avventura che più dispiacere dette a don Chisciotte di quante finora gli erano successe
Don Chisciotte dice che dovrebbero mandare lui a salvare don Gregorio, al quale don Antonio Moreno risponde che se quelli che sono andati falliscono, lui avrà la sua occasione. Due giorni dopo la partenza del gruppo di salvataggio di Gregorio, don Chisciotte va a fare una passeggiata sulla spiaggia, armato come al solito, e si imbatte in un altro cavaliere, che si presenta come il Cavaliere dalla Bianca Luna. Questi lo sfida a duello, con l’unico scopo che don Chisciotte, una volta sconfitto, confessi che la fanciulla del Cavaliere dalla Bianca Luna, chiunque essa sia, è più bella di Dulcinea del Toboso. Don Chisciotte, da parte sua, afferma che non direbbe mai una cosa del genere e accetta il duello.
Sul campo di battaglia, quando i due cavalieri stanno per scontrarsi, appare il viceré, si mette in mezzo e chiede loro il motivo della battaglia. Il Cavaliere dalla Bianca Luna spiega e il viceré va da don Antonio Moreno per chiedergli se questo nuovo cavaliere sia stato mandato da lui per fare uno scherzo a don Chisciotte. Don Antonio risponde che non sa chi sia questo Cavaliere dalla Bianca Luna. Il viceré non ha altra scelta che autorizzare il combattimento, così, il Cavaliere dalla Bianca Luna carica don Chisciotte e lo fa cadere, poi gli appoggia la lancia sulla visiera e gli ricorda che se non confesserà quanto stabilito, dovrà ucciderlo. Don Chisciotte, ancora stordito dalla caduta, afferma che Dulcinea è la donna più bella e chiede al vincitore di togliergli subito la vita. A questo punto, il Cavaliere dalla Bianca Luna risponde che non lo ucciderà, ma lo costringerà a ritirarsi nella sua casa per un anno o fino a quando non vorrà lui, come avevano presumibilmente concordato prima del combattimento. Don Chisciotte risponde che asseconderà la richiesta del suo vincitore. Il Cavaliere dalla Bianca Luna esce al galoppo dalla città e il viceré chiede a don Antonio di seguirlo, perché vuole sapere chi sia questo cavaliere.
Capitolo 65: Nel quale si fa sapere chi era colui dalla Bianca Luna, come anche la liberazione di don Gregorio e altri avvenimenti
Don Antonio Moreno e un gruppo di ragazzi inseguono il Cavaliere dalla Bianca Luna fino a rinchiuderlo in una casa. Capendo che non lo lasceranno andare finché non confesserà chi è, il Cavaliere dalla Bianca Luna inizia a spiegare tutto. Egli si presenta come il baccelliere Sansone Carrasco, che tre mesi prima era andato incontro a don Chisciotte, facendosi chiamare Cavaliere degli Specchi. Il problema, dice, è che in quell'occasione don Chisciotte lo aveva sconfitto e non era riuscito a imporgli la condizione di tornare a casa, cosa che Carrasco considera essenziale per la salute del Cavaliere dei Leoni. Dopo questa confessione, il baccelliere Carrasco lascia la città, convinto che don Chisciotte rispetterà l’accordo.
Il Cavaliere dai Leoni, dal canto suo, trascorre sei giorni a letto, triste, pensieroso e molto svogliato. Dice a Sancio che manterrà la parola data, ma che dopo l’anno tornerà alle sue avventure senza perdere tempo. In quel momento arriva don Antonio e gli dice che don Gregorio è stato salvato e che in quel momento si trova sulla spiaggia e finalmente Anna Felice si riunisce al suo amato. Don Antonio si offre di andare a corte per negoziare che sia Anna Felice che suo padre Ricote possano rimanere in Spagna. Accompagna inoltre don Gregorio a visitare i suoi genitori, che devono essere ancora addolorati per l’assenza del figlio. Il capitolo si conclude con la partenza di don Antonio e don Gregorio, da una parte, e di don Chisciotte e Sancio dall’altra.
Analisi
Innanzitutto, è importante sottolineare che diversi critici concordano sul fatto che il progetto originario di Cervantes non era quello di inviare don Chisciotte a Barcellona, ma alle giostre di Saragozza, ma che, venendo a sapere che Avellaneda lo aveva già fatto nel suo apocrifo Don Chisciotte, l’autore aveva deciso di portarlo nella città catalana. In questo senso, poiché il viaggio a Barcellona è un eccesso imprevisto nel piano di scrittura di Cervantes, egli deve compensare queste distanze impreviste e ricorre a un espediente che non ha usato praticamente in tutto il romanzo, ovvero un violento salto temporale di sei giorni in cui, secondo Cide Hamete, “[…] non gli successe cosa meritevole di essere ricordata”. Ora, questo salto temporale non è un incidente di poco conto se si considera che siamo di fronte a un testo che è stato costruito sulla necessità di raccontare tutto, che è stato molto generoso di dettagli e che, improvvisamente, decide di rinunciare a questa determinazione programmatica per un improvviso cambio di piani, forse per una certa irritazione e dispetto per la comparsa della versione apocrifa.
D’altra parte, nella scena in cui don Chisciotte cerca di frustare Sancio senza che questi se ne accorga, si possono osservare alcune questioni interessanti relative al momento in cui si trova la storia. Innanzitutto, si evidenzia ancora una volta la follia di don Chisciotte, ancora convinto che Dulcinea sia sotto effetto di un incantesimo e che le frustate del suo scudiero siano la chiave del suo disincanto. A questo punto, giunti agli ultimi capitoli del romanzo, emerge di nuovo l’alienazione caratteristica di don Chisciotte, che lo definisce e che sarà molto importante nelle pagine successive. Tuttavia, c’è un altro aspetto della situazione a cui è interessante prestare attenzione, ovvero che Sancio, rendendosi conto di ciò che sta accadendo, sottomette il suo padrone e gli fa promettere di non provare più a frustarlo senza il suo consenso. A questo proposito, si è già accennato più volte al fatto che Sancio ha un ruolo di primo piano in questa seconda parte, altrettanto importante, se non di più, di quello di don Chisciotte. Ora, in nessun momento di questo secondo libro si assiste a una scena così eloquente, Sancio sopra don Chisciotte, con un ginocchio sul petto, che lo costringe a promettere di non disturbarlo più. Qui il rapporto gerarchico padrone-scudiero viene definitivamente meno. Questa situazione non solo illustra la nuova posizione di Sancio nella storia, ma allude anche a una diversa debolezza di don Chisciotte, una decadenza che, da qui in poi, sarà progressiva e che si concluderà, come Cervantes ha anticipato nel prologo, con la morte di don Chisciotte.
Più tardi, don Chisciotte e Sancio incontrano i banditi (prima quelli impiccati, poi quelli che arrivano a cavallo). Il capo, Rocco Guinart, è un altro grande lettore della prima parte del Don Chisciotte. Come abbiamo visto in vari punti di questo secondo libro, sono i lettori della prima parte del Don Chisciotte (con i duchi in testa) che, in larga misura, fanno avanzare la trama a forza di volersi divertire a spese di don Chisciotte stesso. Ma prima che Rocco esorti don Chisciotte a incontrare un suo amico a Barcellona, che sarà lieto di riceverlo, Claudia Girolama appare e racconta la sua storia. Qui si presenta la possibilità di un’avventura, poiché chiede di essere accompagnata per verificare se Vincenzo sia morto. Ma è chiaro che se don Chisciotte o Sancio partecipano attivamente a una situazione, questa diventa più ricca, più complessa, più estesa. Cervantes non ha tempo per questo, perciò fa andare Rocco e Girolama da soli. Così, l'autore fa attendere i suoi protagonisti lontano dalla scena, in modo che questa possa essere risolta in modo semplice, efficace e veloce. Diversi critici specializzati in Cervantes concordano sul fatto che l’assenza di tempo o, in realtà, l’urgenza di finire è l’unica risposta che può spiegare una tale decisione. Appena terminato questo episodio, don Chisciotte e Sancio stanno già passeggiando lungo le spiagge di Barcellona, e l’amico di Rocco ha già ricevuto la lettera in cui Guinart lo informa che il grande don Chisciotte della Mancia sarà presente in città.
Per quanto riguarda il capitolo 60, va notato che don Chisciotte fa un’incursione nella storia del suo tempo: finora, tutti i personaggi apparsi erano immaginari e frutto della fantasia di Cervantes. Rocco Guinart, invece, è un personaggio rigorosamente storico e contemporaneo, sia degli eventi narrati nel romanzo sia del tempo in cui la seconda parte del Don Chisciotte veniva scritta. In questo senso, ci si trova di fronte a un fatto insolito nel libro, ma la sorpresa del lettore non finisce qui, perché, inoltre, gli viene offerta una visione straordinariamente favorevole del bandito catalano: il suo lato più leggendario, cavalleresco e gentile, in linea con l’immagine sublimata del bandito che si rifletteva nella letteratura spagnola dell’epoca, soprattutto nel teatro e in alcuni esempi di narrativa in prosa.
A questo punto dell’analisi è forse importante sollevare una questione un po' soggettiva ma anche molto dibattuta e sulla quale diversi studiosi dell’opera di Cervantes si sono trovati d’accordo. Se si passano in rassegna i tre errori che don Chisciotte scopre nella seconda parte apocrifa di Avellaneda, si nota che egli non si riferisce a errori letterari molto importanti. In altre parole, le imprecisioni sono fondamentalmente inezie o possono addirittura essere considerate decisioni estetiche dell’autore. Questo, in parte, aiuterebbe a capire il disagio di Cervantes, perché non pochi sostengono che il Don Chisciotte apocrifo di Avellaneda sia abbastanza buono. In questo senso, ci si potrebbe chiedere perché Cervantes avrebbe avuto tanta fretta e si sarebbe indignato per il testo apocrifo se non fosse stato abbastanza buono da competere con il suo. Il testo di Avellaneda non era affatto male e lo aveva battuto, questo era il vero problema. Questo, a sua volta, significava che la seconda parte del Don Chisciotte di Cervantes avrebbe potuto non vendere quanto la prima. In altre parole, Avellaneda gli stava rubando il pubblico.
Tuttavia, vale la pena notare che questa pratica di continuare i libri di altri era molto diffusa all’epoca. In questo senso, se si considera la portata letteraria che assunse il Don Chisciotte di Cervantes, è difficile credere che l’autore tenesse così tanto al testo di Avellaneda. Tuttavia, è facile dirlo quattrocento anni dopo, quando il romanzo di Cervantes ha già acquisito lo status di classico della letteratura mondiale. Tuttavia, al di là di tutto, è indiscutibile che questa arroganza, questa intimidazione che Cervantes provava nei confronti del testo apocrifo di Avellaneda sia stata una spinta decisiva per il completamento della seconda parte.
Nel capitolo 61 si trova un’altra sfasatura temporale nella narrazione, don Chisciotte e Sancio arrivano a Barcellona alla vigilia del giorno di San Giovanni (23 giugno), ma non può essere così dalle date delle lettere che sono state analizzate nei capitoli precedenti (ad esempio, la lettera del duca a Sancio che lo informa dell’imminente arrivo dei nemici, datata 16 agosto). È proprio in questo tipo di discrepanza che si può vedere meglio come Cervantes non possa fare a meno di lottare con Avellaneda. Questo Don Chisciotte apocrifo lo mette talmente sotto pressione da indurlo a commettere questo tipo di errore un po' ingenuo, si potrebbe dire. L’apparizione di questo libro inaspettato ha stravolto tutto: la cronologia, i dialoghi, le avventure. Per dirla senza mezzi termini, contamina il Don Chisciotte di Cervantes e forse proprio per questo Cervantes non può fermarsi. Quell’ansia di conclusione che si percepisce in quest’ultima parte del secondo libro, sebbene lo porti a commettere degli errori, finirà per essere la forza definitiva che aiuterà Cervantes a concludere il suo romanzo.
D’altra parte, è chiaro che Barcellona è felice dell’arrivo di don Chisciotte e lui, a sua volta, è felice di Barcellona. Lo accolgono con grandi discorsi, lo ospitano in una casa principale, lo trattano come un vero cavaliere errante, e lo portano persino a spasso per le strade in modo che la gente possa salutarlo, anche se questo avviene solo con l’aiuto di un cartello che dice chi è. Barcellona è pronta per don Chisciotte, per fargli sfoggiare non solo il suo cavalierato, ma anche la sua follia.
Si tratta di alcuni giorni in cui i due nativi della Mancia, nati e cresciuti in un villaggio, si immergono nella vita indaffarata e multiforme di una grande città (più vivace che mai in quanto celebra la festa di San Giovanni), dove li attendono le più grandi meraviglie e, infine, le più grandi disillusioni. Non sono mai stati circondati da così tante persone, sono affascinati da tanto trambusto, non riescono a nasconderlo e diventano l’oggetto di attrazione di tutti coloro che li circondano. Anche se non fa parte dei temi principali che percorrono questa seconda parte, si può notare che il soggiorno di don Chisciotte e Sancio a Barcellona evidenzia il contrasto di realtà tra due paesani come loro e persone abituate a una dinamica più frenetica e cosmopolita come i catalani che li accolgono.
Nel capitolo 62 compare la falsa testa parlante. Senza troppi sforzi, si può collegarla alla scimmia indovina del capitolo 25. In questo caso, si è di fronte a una testa che può rispondere a tutte le domande che le vengono poste, tranne il venerdì. Anche la scimmia indovina di Ginesio di Passamonte esauriva la sua virtù in certi momenti, ma poteva avvertire quando sarebbe tornata. Gli schemi della testa parlante e della scimmia sono talmente identici in questo senso che all’inizio del capitolo successivo Cide Hamete scopre il trucco, così come lo aveva scoperto dopo l’avventura della tavola di Mastro Pietro. La narrazione, in entrambi i casi, segue questa formula: prima la sorpresa, il gioco, il divertimento, poi lo svelamento del mistero. Risulta chiaro che un lettore moderno potrebbe persino sentirsi offeso dalla successiva spiegazione pedagogica che accompagna i due casi. Sarebbe, in un certo senso, sminuire la capacità di lettura, risolvendo questioni che si possono risolvere da sole. Ma naturalmente è l’inizio del XVII secolo, un’epoca in cui l’autore (soprattutto di un’opera così popolare come il Don Chisciotte) ha bisogno di far sapere ai suoi lettori come funzionino certi meccanismi parodici. Non rischia di evitare questa spiegazione. In questo senso, Cervantes, al di là delle molte innovazioni che ha apportato in relazione alla letteratura mondiale, è ancora uno scrittore del suo tempo, con i suoi obblighi nei suoi confronti.
Nel capitolo 63 riappare il personaggio di Ricote, il vicino moro che Sancio ha incontrato uscendo dall’isola. Entra in scena anche Anna Felice, sua figlia, travestita da uomo, che racconta la sua storia. Tutto sembra accelerare di nuovo, ci sono due morti nella schermaglia navale, poi arriva il perdono del viceré e l’ospitalità di don Antonio Moreno per la famiglia moresca. Anche qui c’è uno sfasamento temporale: Ricote è presente nella scena finale, il che significa che, nei tredici giorni trascorsi dall’incontro con Sancio, il moro ha potuto viaggiare fino al villaggio della Mancia, ha potuto portare a galla il tesoro dalle profondità della terra e, inoltre, ha avuto abbastanza tempo per salire a Barcellona e non perdere nessun dettaglio della storia che la figlia ha appena raccontato al viceré. Considerando i mezzi di trasporto dell’epoca, era troppo per così pochi giorni. Inoltre, Rocco porta don Chisciotte e Sancio a Barcellona con una scorciatoia, il che rende ancora più implausibile che Ricote si trovi lì dopo aver fatto tutto quello che dice.
Da un punto di vista strutturale, questa narrazione in due parti dell’episodio moresco è un segno eclatante. Colpisce, tra l’altro, il contrasto tra l’eroismo astratto di don Chisciotte e il pragmatismo della figlia di Ricote che, per liberare se stessa e il suo fidanzato, non ha esitato ad avvalersi dei servigi di un rinnegato. In questa storia, d’altra parte, non ci sono solo rinnegati, ma anche cristiani dubbiosi, falsi pellegrini, “travestiti” (don Gregorio vestito da donna, che attende ancora la sua liberazione nella prigione di Algeri). Tutto questo è un chiaro segno di un mondo nuovo, eterogeneo e ambiguo, che non esige più credi saldi e identità chiare, come don Chisciotte pretendeva da se stesso, e dove l’unico passaporto valido è, appunto, la fortuna.
Già nel capitolo 64, il Cavaliere dalla Bianca Luna appare e sfida don Chisciotte a combattere, in linea di principio, per fargli confessare che la sua amata, qualunque essa sia, è più bella di Dulcinea, ma fondamentalmente lo sfida a combattere affinché, se don Chisciotte sarà sconfitto, accetti di tornare al suo villaggio e non lasciarlo in cerca di avventure per un anno. Don Chisciotte, naturalmente, accetta la sfida. Il Cavaliere dalla Bianca Luna vince, mette don Chisciotte al tappeto. Questa caduta è la fine di molte cose. In linea di principio, sembra essere l’ultima umiliazione che il Cavaliere dei Leoni è disposto ad accettare. Ma può anche essere interpretata, come vedremo più avanti, come la fine della follia di don Chisciotte, che, dopo essere stato sconfitto, accetta la sconfitta e la penitenza che il Cavaliere dalla Bianca Luna gli impone.
Infine, è chiaro che il capitolo 65 è cruciale: è l’inizio della fine del libro. Da qui non resta che il ritorno al villaggio di Sancio e don Chisciotte e la morte del cavaliere errante. Cervantes è talmente consapevole di essere vicino alla fine che si dimentica per un bel po' di lottare con Avellaneda, sembra prendersi una pausa da quell’altra battaglia a morte che si sta svolgendo nel testo, e la scrittura, da qui in poi, acquista una voce più intima e lenta.