Foe (Romanzo)

Foe (Romanzo) L'analisi delle citazioni

Sulla mia isola avrei potuto vivere felice. Ma chi, abituato alla pienezza della parola umana, riesce ad accontentarsi di gracchi e cinguettii e strida, e del latrato delle foche, e del gemito del vento?

Susan Barton

Questa prima affermazione di Susan riguardo la vita sull’isola riflette molto di più dei suoi sentimenti sul vivere lontano dalla civilizzazione, in un ambiente naturale. Un tema centrale dell’opera è proprio il concetto del linguaggio umano: dalla prospettiva di Venerdì, il linguaggio umano potrebbe certamente sembrare come gracchi e cinguettii e strida e la vita che Venerdì vede a Londra, che lo terrorizza, potrebbe sembrare avere una logica propria se comparata alla vita sull’isola. L’affermazione di Susan sottolinea una dicotomia fondamentale tra la civilizzazione umana e la vita naturale, che si ripete per tutta la narrazione.

Perché mai abbiano deciso di buttarmi a mare non lo so. Ma di norma cominciamo a odiare coloro che abbiamo maltrattato e desideriamo non posare mai più gli occhi su di loro.

Susan Barton

In questo passaggio, Susan fa riferimento agli uomini sulla nave che l’hanno gettata in mare insieme al capitano assassinato. La citazione non solo rivela che lei sia stata vittima di abusi a bordo della nave, ma fa anche una profonda e agghiacciante riflessione riguardo la natura dell’abuso: come se stesse ripetendo un proverbio ben noto, afferma che coloro di cui abbiamo abusato, alla fine finiamo per odiarli. Non spiega né definisce la sua frase e quindi viene lasciata così sospesa, come una domanda in attesa di risposta. È vero che finiamo per odiare le persone di cui abusiamo? E se così fosse, perché? E cosa può dirci questo riguardo le continue relazioni tra bianchi e neri di cui Foe tratta? Chi, nella storia, ha ricevuto più abusi di Venerdì e i suoi compagni schiavi? Coetzee sta forse suggerendo che i veri abusi della schiavitù hanno portato all’odio razziale e al razzismo?

Ora, sarei lieta di raccontarvi la storia di questo singolare Cruso, come l’ho udita dalle sue stesse labbra. Le storie che mi ha narrato, però, erano così diverse e inconciliabili da indurmi a concludere che l’età e l’isolamento facessero ormai sentire il loro peso sulla memoria, e che Cruso non sapesse più distinguere verità e fantasia.

Susan Barton

Il Cruso che Susan trova sull’isola è significativamente diverso da quello del Robinson Crusoe di Daniel Defoe. Come sottintende questa citazione, la realtà è molto diversa da quella drammatizzata e romanticizzata in letteratura, soprattutto nel caso di una storia come quella di Robinson Crusoe. Coetzee qui chiede: quale sarebbe davvero la realtà del naufrago? Molto probabilmente, avrebbe perso ogni concezione della realtà.

“Nulla si dimentica”, disse; e poi: “Nulla di ciò che ho dimenticato vale il ricordo.”

Cruso

Questa è la risposta di Cruso a Susan quando gli chiede se abbia tenuto un diario o il conto dei giorni o se abbia annotato qualsiasi cosa in generale. Non è così, spiega, ha perso traccia della sua storia personale. Quando la racconta è infatti tutto confuso, le sue storie sono contraddittorie, ma le sue sensazioni a riguardo sono ben espresse in questa citazione: ricorda tutto in un modo talmente disorganizzato che gli sembra non avere valore. Susan è il suo opposto, perché crede nell’importanza di registrare gli eventi.

“Lascerò dietro di me i terrazzi e i muretti” disse. “Saranno sufficienti.”

Cruso

Proseguendo il discorso della citazione precedente, Cruso rivela di non avere interesse per la storia o la civilizzazione. I suoi inutili terrazzi sono gli unici elementi del suo lascito e per lui sono abbastanza. A differenza della citazione precedente, qui sembra esserci una determinazione logica: è felice di lasciare un’eredità che sia qualcosa che modifichi soltanto la forma dell’isola e che, come suggerisce Susan, alla fine verrà erosa.

Forse volevano anche impedirgli di raccontare la sua storia: chi era, da dove veniva, in che modo lo avevano catturato.

Cruso

In questo passaggio Cruso ha appena detto a Susan della lingua di Venerdì. Lei gli ha chiesto perché sia successo e lui immagina le diverse ragioni. Questa prevale sulle altre, non solo perché è sentita come quella più vera (dato che è certamente il risultato del fatto che Venerdì non abbia la lingua) ma anche per la natura sinistra del pensiero di Cruso. È solo successivamente che Susan spiega che si chiede se sia stato Cruso a tagliare la lingua di Venerdì. Qui vediamo Cruso articolare una ragione plausibile e logica che spieghi perché si debba tagliare la lingua a uno schiavo. L’articola così bene perché lo sa perfettamente?

Rendetemi la consistenza che ho perduto, signor Foe: è questa la mia supplica.

Susan Barton

L’appello di Susan allo scrittore affinché la rianimi avviene dopo una serie di riflessioni sul fatto che fino a questo momento ha raccontato soltanto la storia di Cruso e non la sua. Questa citazione è importante per il modo in cui rivela che Susan crede fermamente nel potere quasi mistico della scrittura, capace di rianimare una persona e la sua storia. A questo punto sente un’immensa fede per Foe in quanto maestro di quest’arte. Lo tratta quasi come fosse un mago. Successivamente, capisce che lui ha il potere di animarla in modi che a lei non piacciono.

Per dire la verità in tutta la sua consistenza è necessaria la quiete, una sedia comoda lontana da ogni distrazione e una finestra cui indugiare a guardare; e poi il talento di vedere le onde quando si hanno davanti agli occhi i campi [...]

Susan Barton

Questa citazione segue la precedente e amplia il pensiero di Susan sul potere che ha la letteratura di raccontare la verità. Di nuovo, per Susan lo scrittore è una specie di mago della realtà del passato. Gli strumenti di cui questo “narratore di verità” ha bisogno, tuttavia, non si identificano solo in una voce, ma in una posizione fisica, a una comoda scrivania accanto alla finestra che consenta di meditare profondamente e creare la “verità”.

Il pensiero corse a Venerdì; non potevo impedirlo, era una conseguenza della fame. Se non ci fossi stata io a tenerlo a freno, avrebbe divorato la piccina? Mi dissi che gli facevo un torto a considerarlo un cannibale o, ancor peggio, un divoratore di morti. Ma Cruso aveva piantato il seme nella mia mente, e ora non potevo guardare le labbra di Venerdì senza immaginare quale genere di carne, un tempo, doveva esserci passato attraverso.

Susan Barton

La citazione è uno degli esempi in cui Susan riflette sulla possibilità che Venerdì sia un cannibale. Questa citazione è rilevante per il modo in cui afferma che sia stato Cruso a “piantare il seme”. Il linguaggio utilizzato indica molto di più del semplice Cruso del romanzo di Coetzee: il Cruso del romanzo di Defoe (in cui Venerdì è un cannibale riformato e altri cannibali sono presenti sull’isola) ha sicuramente aiutato a “piantare il seme” nell’immaginario intimorito di generazioni di lettori.

È un luogo in cui i corpi sono segno di sé stessi. È la casa di Venerdì.

Susan Barton

Nella chiusura dell’opera una versione di Susan discende sott’acqua e trova una versione di Venerdì con una catena intorno al collo nella stiva destinata agli schiavi di una nave affondata. In questo passaggio visionario, il suo corpo è segno di sé: è un concetto ambiguo, probabilmente un po’ negativo dato che di cos’altro potrebbe essere segno il corpo di Venerdì se non di orrore, dato che è incatenato, affogato e invisibile sott’acqua?

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