Foe (Romanzo)

Foe (Romanzo) Riassunto e analisi di di Foe - Capitolo 3, parte 1

Capitolo 3, parte 1 – Riassunto

Il terzo capitolo si apre con un cambiamento di tempi e di punti di vista. Rimane una narrazione in terza persona, ma non più rivolto a una seconda persona, e mancano le citazioni. Non si tratta di una lettera scritta.

Susan sale le scale e bussa a una porta. Il signor Foe apre la porta e Susan gli racconta che lei e Venerdì sono tornati a Londra e per caso hanno visto la signora Thrush. Le hanno chiesto dove trovare il signor Foe e la signora Thrush questa volta si è fidata di loro e ha dato loro indicazioni. Susan gli chiede come stia andando la sua storia. Lui dice che va a rilento, ma è un bene che sia arrivata perché ha bisogno di sapere di più su quanto le è successo a Bahia. Lei dice che Bahia non fa parte della sua storia, ma accetta di raccontargli alcune cose su quel luogo. Descrive i dettagli della vita di strada. Spiega che le donne portoghesi stanno in casa e "una donna che esce liberamente è considerata una meretrice". Dice: "Io ero considerata una meretrice. Ma ci sono una tale quantità di meretrici lì, o, come preferisco chiamarle io, di 'donne libere', che non mi sentivo intimidita".

Foe le chiede se Venerdì la ami e lei risponde che Venerdì è come la sua ombra; la ama come un'ombra ama il suo soggetto. Foe vuole sapere di più su Bahia, ma lei dice che la sua storia inizia sull'isola. Foe non è d'accordo e dice che inizia a Londra, quando sua figlia scompare o fugge. Poi la incalza sul mistero della sua sopravvivenza a Bahia dicendo: "Sono queste le domande da porre, alle quali va data risposta". Si sofferma poi sulla ricerca della madre da parte della figlia, immaginando che la figlia senta parlare della madre a Bahia e cerchi di seguirla a Lisbona, dove sente parlare di una donna abbandonata su un'isola e si chiede se sia sua madre. Foe spiega che nella costruzione di una narrazione avvincente, tutto il tempo trascorso sull'isola è solo la parte centrale. Mentre dice questo, Susan afferma: "La gioia che avevo provato nel trovare Foe scomparve".

Sostiene che la storia sia incentrata sulla perdita della lingua di Venerdì. Lei spiega che quella storia non può essere raccontata. Poi racconta di più a Foe: dice che c'è qualcosa che non ha mai spiegato su quando erano a casa sua e Venerdì aveva trovato le tuniche e ballava. Quando lo faceva, non indossava nulla sotto. Dice che quando ha saputo che a Venerdì mancava la lingua, si è chiesta se gli mancasse anche qualcos'altro. Poi, il primo giorno in cui iniziò a danzare con la veste, scese e lo vide. Ma ciò che descrive è ambiguo. Dice: "Vidi, e credetti di aver visto, sebbene in seguito mi ricordai di Tommaso, che pure aveva visto, ma non credette finché non mise il dito nella piaga". Spiega quindi il suo appello a Foe come un appello a uno scrittore esperto, affinché descriva ciò che ha visto o che ha creduto di vedere. Dice: "Non so come vadano scritte certe cose in un libro, se non dissimulandole ancora con delle immagini."

Foe la spinge di nuovo a parlargli di Bahia. Lei afferma la sua autorità, dice che è una scelta il non volerne parlare. Sostiene che sia la storia di Venerdì a dover essere raccontata. Dice a Foe: “Il vostro errore più grande sta nel non riuscire a distinguere tra i miei silenzi e i silenzi di un essere come Venerdì. Venerdì non ha facoltà di parola, e quindi non è in grado di difendersi dall’eventualità di essere riplasmato, giorno per giorno, in modo conforme ai desideri altrui. Io dico che è un cannibale ed egli diventa un cannibale”.

Susan e Foe parlano a lungo dell’importanza e delle conseguenze del raccontare storie intime. La spinge a liberarsi del peso della sua storia e fa un confronto con la confessione a un cappellano prima di andare alla ghigliottina. Lei resiste e si compara alla Musa che è arrivata a lui e gli porge il peso dell’obbligo di raccontare una storia diversa da quella che lui vorrebbe. Lui le offre delle cialde alle mandorle. Lei le mangia avidamente e le condivide con Venerdì.

Un giovane ragazzo di nome Jack si presenta da Foe e gli dice che prenderà il suo pasto. Foe gli dice di prenderne abbastanza anche per Susan. Susan indica Venerdì e dice che deve prenderne abbastanza anche per lui. Jack se ne va e Susan e Foe discutono del modo in cui Susan si prende cura di Venerdì. Lei si paragona a una madre. Jack torna e mangiano e bevono birra.

Poi arrivano altre due donne: si tratta della fanciulla che sostiene di essere la figlia di Susan insieme a una donna che sarebbe la sua infermiera, Amy. Susan vacilla quando le vede e spiega a Foe perché sia irragionevole cercare di farla sottostare agli attori che lui ha ingaggiato. Susan li definisce come fantasmi che non hanno niente a che fare con la sua storia, con la sua salute e con lei stessa. Dice: “Sono l’incarnazione stessa del dubbio. Chi mi dà voce? Sono anch’io un fantasma? A quale ordine appartengo? E voi: chi siete?” Foe la bacia. Si interroga su chi abbia autorità e potere nella vita. Discute il ruolo del dubbio nella scrittura e nella vita. Jack, Amy e la ragazza se ne vanno.

Susan dice che anche lei e Venerdì devono andarsene, ma Foe le invita a dormire da lui. Susan trova una sistemazione per Venerdì nell’alcova con le tende. Chiude la tenda e gli dice di non preoccuparsi di ciò che farà lei con Foe. Si spoglia fino a rimanere in sottoveste e va nel letto di Foe. Se ne stanno al buio a parlare della natura dei fantasmi. Iniziano a fare sesso. Lui le ricorda Cruso, il suo peso sulla parte inferiore, la blocca. Lei lo ferma e si mette a cavalcioni su di lui. lui rimane sorpreso; non sa cosa fare ma lei gli dice di pensare che sia la sua Musa, che fa così quando visita i suoi poeti. “Una cavalcata tonificante” le dice lui, “sono scosso fin nelle ossa”.

Rimangono sdraiati al buio e lei pensa che stia dormendo, ma poi inizia a parlare di Venerdì che mette i petali di fiori tra le onde. Dice che pensava che Venerdì stesse facendo un’offerta agli dei affinché portassero pesci, ma forse era un’offerta per qualcos’altro. Non capisce. Lui le spiega che pensa che ogni storia abbia un cuore, una domanda a cui rispondere. “Finché non si dice il non detto, non si giunge al cuore della storia”. Dice che Venerdì fu messo in mare su un ceppo di legno, un luogo pericoloso dove ora getta i petali. E se ci fosse qualcosa sul fondo che lo guarda? si chiede Foe. E se il luogo in cui Venerdì mette i petali fosse il luogo in cui era andato alla deriva? Chi altri potrebbe esserci lì sotto, si chiede, se non i suoi compagni schiavi, incatenati, andati a fondo durante il naufragio. La sua offerta è per loro, immagina Foe. Foe dice che devono far parlare il silenzio di Venerdì. Susan gli chiede come, e immagina di mettere l’orecchio sulla bocca di Venerdì come fosse una conchiglia. Al suo interno si sentirebbe l’oceano. Quella notte non riesce a dormire. Al mattino si alza per andarsene ma Foe vuole che insegni a scrivere a Venerdì. La manda fuori con una lavagna e qualche scellino. Compra un po’ di latte e pane fresco per lei e Venerdì e poi cerca di mostrargli come si fa a scrivere, pur pensando che sia inutile. Copia ciò che scrive lei. Di ritorno nell’appartamento di Foe, Venerdì è seduto davanti alla lavagna e ci disegna sopra occhi e piedi. Lei è stupita e vuole mostrarla a Foe, ma Venerdì non vuole. Non lascia andare la lavagna e la pulisce.

Susan è nervosa riguardo la sua responsabilità nei confronti di Venerdì e ne parla con Foe. Lei e Foe parlano del significato della libertà e di come potrebbe essere per qualcuno come Venerdì. Foe dice che Susan dovrebbe occuparsi di Venerdì meno di quanto pensi. La fa uscire a fare una passeggiata e lei è felice di farlo. Quando torna, trova Foe a letto e Venerdì con indosso la sua vestaglia e la sua parrucca, seduto alla scrivania intento a usare le sue penne e i suoi fogli. Lei gli dice di smettere, ma Foe si raddrizza e le dice di lasciarlo continuare. Venerdì ha coperto la lavagna di o. Foe dice che l’indomani Susan avrebbe insegnato a Venerdì la lettera a. Foe si definisce “una vecchia puttana”.

Capitolo 3, parte 1 – Analisi

In questo capitolo scoppia una battaglia di volontà autoriale tra Foe e Susan riguardo il significato della sua storia e le motivazioni per cui raccontarla. Foe vuole che Susan gli confessi ciò che è accaduto a Bahia: vuole scrivere una storia su Bahia e la esorta a raccontargli cosa sia accaduto lì. L’implicazione è chiara: Susan deve aver fatto ricorso ad attività licenziose se non alla prostituzione per poter sopravvivere da sola in una colonia del nuovo Mondo come Bahia. Foe lo sa e anche se le fa pressioni per preservare la logica della narrazione, dicendole che la storia dell’isola ha bisogno di un’introduzione, di un motivo, la vera storia che cerca è la storia di uno scandalo.

Mentre parlano diventa chiaro che Susan capisca perfettamente cosa vuole Foe da lei e sostiene che non farfuglierà una confessione per poi esser cacciata via a frustate e condannata al silenzio eterno. Dice: “Ho ancora il potere di fare da guida ed emendare. Soprattutto di non dire. In questo modo cerco ancora strenuamente di essere padre della mia storia.” Sa bene che una storia scandalosa è sensazionale, è la storia che Foe riuscirebbe a vendere, ma lei lo spinge oltre. Crede nel fatto che il suo potere in quanto autore sia quello di raccontare altre storie, più difficili, come quella di Venerdì.

L’insistenza di Susan affinché la storia riguardi l’isola è per far sì che la storia riguardi Venerdì. Sostiene che la storia che vada raccontata sia quella che non può essere raccontata. Lei ha ancora potere sulla sua voce, mentre Venerdì non ha più la lingua. Susan ritiene che l’autore abbia il dovere di raccontare del silenziamento di Venerdì, che rappresenta quello di tutti i subalterni.

Nel rivisitare Robinson Crusoe con la scelta di portare Susan nella vita di Daniel Defoe, Coetzee affronta una sfida con uno dei primi romanzi in lingua inglese, se non il primo. Susan ha un punto di vista etico sulla rappresentazione fittizia e la responsabilità dell’autore, che viene iniettata nel periodo formativo del romanzo inglese. È una fantasia riguardo un intervento nella fantasia in generale e nello specifico di Robinson Crusoe, che sta alle fondamenta della tradizione romanzesca inglese. È una presa di posizione contro il sensazionalismo e a favore di un tentativo verso una forma di rappresentazione responsabile. Ovviamente tale rappresentazione può essere una fantasia, impossibile e anche non etica, ma il dibattito in sé è ciò che Coetzee immagina, ciò su cui fantastica, e sta alla base del romanzo. Chiede: e se Defoe avesse affrontato la sfida della responsabilità e la questione etica che Susan gli pone ora? e se il romanzo inglese fosse nato dal dilemma dell’incontro tra Susan e Foe?

Sarebbe indubbiamente azzardato immaginare che lo stesso Defoe si sia posto i dilemmi etici che la sua controparte fittizia (Foe) affronta qui. Il Venerdì di Defoe è un cannibale nero e selvaggio, un vero barbaro per natura. La salvezza di Venerdì arriva attraverso il buon cristiano bianco Robinson Crusoe. È difficile immaginare che Defoe abbia mai preso in considerazione l'umanità di un nero non cristiano, per non parlare dell'esperienza della sottomissione violenta. Certamente non ha mai cercato di elaborare l'etica della rappresentazione di questa vittima, colui che non può parlare per se stesso, il subalterno, o almeno questa sfida non è evidente nella fantasia del naufrago bianco che sopravvive con l'aiuto di un selvaggio riformato.

Susan crede che la storia abbia a che fare con la lingua di Venerdì. Grazie alla sua insistenza, veniamo a sapere che il mistero della lingua di Venerdì, cioè la sua storia, è arrivato al centro della sua storia. In effetti, l'uomo del capitolo precedente, che si aggirava silenzioso al piano inferiore della casa abbandonata di Foe, mentre al piano superiore Susan aspettava che Foe raccontasse la sua storia, era in realtà colui che lei stava aspettando. La sua collocazione al piano di sotto, il suo silenzio, la sua oscurità, fanno facilmente pensare all'inconscio, al represso. Certamente ogni possibile realismo di un personaggio come il Venerdì di Defoe è represso nel Robinson Crusoe originale, ma Coetzee sta forse sostenendo che lo schiavo mutilato e muto sia il represso di tutti i romanzi inglesi? C'è una figura di subalterno castrato e senza lingua che si cela "ai piani inferiori" per ogni scrittore di romanzi in lingua inglese che si sia cimentato in quest'arte da quando Defoe tentò per la prima volta di scrivere un racconto lungo sulle avventure delle spedizioni nel Nuovo Mondo? È solo un caso che questo primo romanzo inglese tratti di fantasie di imprese coloniali e della tratta degli schiavi? O c'è qualcosa nella conquista, nella pirateria e nella dominazione che attira il narratore di storie lunghe? L'esperienza del potere è un'esperienza al centro della rappresentazione romanzesca?

La storia del subalterno è repressa nell'immaginario di Defoe. Per Coetzee, tuttavia, la questione di come rappresentarla è centrale. L'incapacità del subalterno di raccontare la propria storia è al centro delle preoccupazioni di questo romanzo. Venerdì non può parlare, ma Susan sostiene che lo scrittore del romanzo abbia un grande potere: quello di etichettarlo come "cannibale". Sicuramente questo potere ha una risonanza duratura. La storia del naufrago in un'epoca di pirati, solo su "un'isola deserta", è entrata in qualche modo nel nostro immaginario come un archetipo moderno. Ma da dove viene questa figura? La storia di Robinson Crusoe è diventata un archetipo. Ma cosa sarebbe successo se Defoe avesse cercato di rappresentare il realismo di quel naufrago, la sua noia e la dipendenza dal suo schiavo? E che dire della sofferenza di quello schiavo? Forse il libro stesso sarebbe stato censurato e represso, o non avrebbe avuto alcun successo.

Sotto la fantasia di cristianizzare il selvaggio c'è la realtà repressa di quell'umano mutilato e costretto. Coetzee apre Robinson Crusoe e si chiede quali storie non siano state raccontate.