Foe (Romanzo)

Foe (Romanzo) I temi

L'esperienza femminile

A differenza di Robinson Crusoe di Daniel Defoe, che si concentra sull’esperienza maschile nel contesto delle avventure maschili, Foe di Coetzee viene da una prospettiva femminile. Attraverso la riscrittura di Robinson Crusoe secondo questo punto di vista, Coetzee richiama l’attenzione sull’assenza dell’esperienza femminile nell’iconica storia del naufragio. Nella sua versione, Susan non è solo la protagonista e il soggetto centrale degli eventi, ma la sua esperienza viene oggettificata e analizzata dal personaggio di Foe. Foe vuole sapere della sua esperienza a Bahia e in mare in modo da trarne una storia sensazionalistica. Susan resiste a questa oggettificazione perché sente che gli aspetti scandalosi della sua esperienza non siano rilevanti ai fini della storia che lei vuole raccontare.

Schiavitù

Sebbene le esperienze della tratta degli schiavi come le piantagioni o il Passaggio Intermedio non vengano direttamente drammatizzate in quest’opera, il tema della schiavitù è certamente tra i più importanti. Nell’originale di Defoe, il trauma della schiavitù non è fonte di tensione: Venerdì è un cannibale che diventa un bravo cristiano. Ma in Foe, Venerdì è senza lingua, castrato e pieno di cicatrici ed è una chiara vittima di un trauma storico più ampio. Il problema è che non può raccontare la sua storia. La narrativa della soppressione della violenza della schiavitù è tuttavia probabilmente una delle esperienze centrali della schiavitù. Sebbene sia meta-fittizio, il romanzo di Coetzee diventa un romanzo storico e illustra indirettamente uno degli aspetti più importanti della schiavitù: il silenziamento delle sue vittime.

Narrazione di storie

Foe, che è una riscrittura dell’opera canonica Robinson Crusoe, è più che un nuovo racconto di una storia già nota. Coetzee ricrea il romanzo per interrogare il processo di costruzione narrativa stesso e per svelare la tirannia dell’autoria e il potere manipolativo del contastorie. Il conflitto che sorge tra Foe e Susan Barton riguardo quale storia vada raccontata, espone le responsabilità etiche degli scrittori in particolare per quanto riguarda la questione della violenza storica.

Primitivismo

Robinson Crusoe può essere letto come una romanticizzazione dell’esperienza primitiva e una fuga dalla civilizzazione. Foe di Coetzee, invece, si rivela esattamente opposto. Quando Susan Barton arriva sull’isola di Cruso, un luogo pieno di pesci e privo di animali ostili, rimane colpita dal tedio della vita primitiva e dal vento incessante, dai pranzi ripetitivi, dallo schiacciante senso di insensatezza. Non c’è nulla da scrivere, nulla da leggere. Cruso ha rinunciato a qualsiasi attenzione per la storia personale e si è impegnato nel compito sisifeo di livellare il terreno per creare terrazzamenti inutili. Il primitivismo di Coetzee è un’esperienza di crisi esistenziale, di noia deprimente e follia delirante.

Linguaggio

I poteri e le funzioni del linguaggio vengono continuamente esaminati nell’opera attraverso l’incapacità di Venerdì di parlare, che porta a interrogarsi sull’utilità del linguaggio. A un certo punto Susan afferma: “Ciò che più temo è che, dopo anni passati senza parlare, abbia perduto la nozione stessa di linguaggio. Quando prendo il cucchiaio dalla sua mano (ma per lui è proprio un cucchiaio, o solo una cosa? Non lo so) e dico: ‘Cucchiaio’, come posso essere sicura che non pensi che blatero da sola, non diversamente da una gazza o da una scimmia, per il piacere di udire il suono che emetto e di sentire la mia lingua muoversi giocosa, come egli traeva piacere nel suonare il flauto?” Così come Susan mette in discussione il ruolo del linguaggio nell’esperienza di Venerdì, anche il romanzo di Coetzee riflette sull’utilità e sull’imprevedibilità del linguaggio nella società umana in senso più ampio. A cosa serve il linguaggio se non racconta la verità della storia, la sua violenza e i suoi orrori, ma racconta soltanto di isole paradisiache in cui i cannibali imparano a essere bravi cristiani? Questa potrebbe essere una delle domande centrali del romanzo di Coetzee.

Fantasie coloniali

Il romanzo di Daniel Defoe è indubbiamente una fantasia sull’indipendenza maschile e sulla sopravvivenza primitiva che nasce direttamente dalle esperienze del colonialismo. Le avventure in mare e la sopravvivenza sull’isola sperduta sono scenari romanticizzati legati agli sfruttamenti coloniali. Il romanzo di Coetzee apporta interrogativi realisti agli scenari romanticizzati di Defoe attraverso domande autoriflessive, meta-fittizie sull’esperienza subalterna.

Umanitarismo

Susan Barton ha fatto una buona azione umanitaria portando Venerdì via dall’isola, portandolo in Inghilterra, dove è terrorizzato e dove diventano vagabondi per le strade di Londra? Quando la nave che li porta via raggiunge per la prima volta l’isola, Venerdì scappa e si nasconde. Tuttavia Susan insiste perché non partano senza di lui, spiegando che “giacché Venerdì è uno schiavo e un bambino insieme, è nostro dovere prenderci cura di lui in tutto e per tutto, e non abbandonarlo a una solitudine peggiore della morte”. Successivamente, mentre vaga per l’Inghilterra insieme a lui, totalmente dipendente da lei, mette in dubbio la sua decisione e spesso pensa che starebbe meglio sull’isola. Il suo primo impulso a portarlo con sé è tuttavia decisamente umanitario, tant’è che lo definisce un “diritto”, qualcosa che un umano deve a un altro. Senza considerare le conseguenze, questo impulso umanitario risulta problematico. La vita che vuole che Venerdì viva si rivela non solo totalmente inaffidabile, ma anche, probabilmente, non così buona.

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